IL ROMANZO DEL SIGNOR ARTURO Prefazione al ventunesimo capitolo
Ci avviciniamo alla fine del romanzo e il signor Arturo si può concedere il lusso di sognare. Naturalmente i sogni migliori si fanno ad occhi aperti e ciò che si sogna è ciò che si desidera, esattamente quel che accade al signor Arturo che in questo capitolo incontra due sirene.
Le sirene sono una favola antica, Ulisse decise di ascoltare il loro canto sfidando la ferrea regola che glielo impediva. Per essere sicuro di non perdere la ragione al suono della loro voce, impose al proprio equipaggio di legarlo, lui condottiero, all'albero maestro della nave, e di non obbedire all'ordine di slegarlo fino a quando il canto delle mitiche donne-pesce non avesse cessato di essere udibile. I marinai, per non incappare nella malìa di quei versi, si tapparono le orecchie con la cera.
Le cose andarono proprio in quel modo, il baldo navigatore rimase legato e poté soddisfare la sua curiosità. Attratto dalle voci delle sirene, incanto al quale nessun cervello umano può sfuggire, strepitò che lo liberassero per potersi congiungere alle femmine degli abissi, ma l'equipaggio non gli permise di farlo, salvandogli la vita.
Le sirene con le quali ha a che fare il signor Arturo non sono più quelle mitiche creature, sono mentecatte disperse che vagano in un mondo divenuto ostile, ovvero sono ciò che la contemporaneità ha fatto della poesia. Al giorno d'oggi ha valore solo ciò che si può comprare per contanti, filosofia tanto apprezzata in questo paese da costituire il credo del partito di maggioranza relativa e di molti altri gruppi politici. Il signor Arturo però nella purezza crede ancora, così decide di aiutare le sirene a ritrovare la strada di casa, ma lo fa senza dare nell'occhio, che in fondo, ormai l'avrete capito, è la sua cifra personale.
Buona lettura. Giovanni Zanzani.
Quel pomeriggio il signor Arturo aveva portato la macchina al lavaggio. Osvaldo il benzinaio gli aveva appena fatto cenno di avvicinarsi all'impianto quando il signor Arturo sentì un fischio. Pensando che l’uomo gli volesse segnalare un pericolo frenò, nel piazzale dell'autolavaggio di sabato c'era sempre un gran casino.
Osvaldo si battè una mano sulla fronte, cosa fa quell'imbecille, entra o non entra?
Se non mi muovo va a finire che perdo il turno, pensò il signor Arturo.
-Vecchio citrullo!- sbottò una ragazza in fila dietro di lui.
Il fischio si ripeté, il signor Arturo questa volta comprese che c'era qualcuno nascosto tra i tubi dell’impianto, così posta la vettura davanti agli spazzoloni rotanti si avvicinò alla grata che copriva la fogna.
Fu allora che vide le sirene, madre e figlia, la vecchia con la faccia da megera, la figlia una gran topa.
Guarda queste, pensò, chissà dove si credono di essere.
Le sirene tenevano la faccia sotto la grata e fischiavano a più non posso per far capire che si erano perse. Il signor Arturo fece un gesto con le mani per dire – aspettate -, allora le due si misero tranquille.
Quando la vettura fu pronta, il signor Arturo fece segno alle sirene che lo seguissero. Prima le guidò lungo le fognature suonando il clacson, poi giunti al naviglio, le fece uscire allo scoperto e procurò loro qualcosa da mangiare, un sacchetto di ciliege, frutta che piacque assai alle donne-pesce. Parlare non fu possibile, ma il signor Arturo riuscì a farsi dire i nomi, Ursula, la madre e Rada, la figlia. Si rimisero in viaggio, il signor Arturo in macchina, le due sirene a nuoto nell’acqua del naviglio. Nel punto in cui questo si collega al fiume, per via di una inferriata posta a barriera tra i due corsi d’acqua, fu necessario che le due natanti attraversassero un prato. Lì il signor Arturo ebbe modo di vedere come erano fatte.
La giovane aveva capelli rossicci pieni di minuscole conchiglie e poppe rotonde, la vecchia mostrava una capigliatura bianco latte mentre le squame della sua coda apparivano grigie. La ragazza invece aveva squame di tutti i colori. Quella fu la cosa che piacque di più il signor Arturo. Egli non riusciva a staccare gli occhi dalla corazza iridescente della giovane sirena.
Appena giunte al fiume Ursula e Rada si occuparono della toeletta. Si misero a lisciare la superficie del corpo con le mani, anch'esse ricoperte di squame e poste su tozze braccia a forma di pinne. Era il loro modo di pulirsi, così facendo allontanarono la sporcizia che si era deposta sui loro corpi nelle fogne della città. All’improvviso cominciarono a chiedere del mare, il signor Arturo lo capì dai gesti.
- È molto lontano - disse.
Le accompagnò lungo il fiume, ma quando ebbero nuotato per un po’, le due creature scossero il capo. Attraverso i loro organi di senso avevano capito che il fiume era una strada sbarrata. Il signor Arturo si sovvenne della diga costruita negli ultimi anni vicino alla foce, una struttura di cemento che precludeva il passaggio. Allora decise di portarle al mare in automobile. Il viaggio fu agevole, la vettura era piena di giornali vecchi che servirono a riparare i sedili dalla sostanza gelatinosa che ricopriva i corpi di Rada e Ursula. La più anziana fece capire al signor Arturo di conoscere bene la città. Da giovane era stata sposata a un marinaio residente in un quartiere della periferia, la sirena mostrò una foto, il signor Arturo riconobbe il vecchio guarda-macchine dello stadio.
-Ma è Alfredo!- esclamò. In città tutti si ricordavano di lui. Alla vecchia sirena spuntarono le lacrime.
La vettura uscì dall'autostrada e si avvicinò ad una spiaggia poco frequentata. Le sirene scesero e raggiunsero l'acqua. Stavano per immergersi quando al signor Arturo venne in mente di fare delle foto. Prese la polaroid che teneva nel cruscotto e si mise in posa vicino ad esse. Lo scatto avvenne mentre egli ancora si muoveva, così il signor Arturo ne fece un secondo. A quel punto gli parve che non si potesse porre fine alla giornata senza una cena al ristorante.
È una pura invenzione che le sirene non possano camminare. I loro arti inferiori sono uniti a formare la pinna caudale, ma non in modo così rigido da impedire la deambulazione, esercizio al quale esse vengono addestrate fin da bambine. Il trio raggiunse la trattoria Stella Marina non prima che il signor Arturo avesse provveduto ad acquistare dei vestiti in un bazar della periferia.
Il passo claudicante delle donne, i vestiti dozzinali, lo sguardo euforico del signor Arturo, ce n’era d’avanzo perchè i camerieri sospettassero qualcosa di losco. Il caposala pensando che i tre volessero mangiare a sbafo non li perse di vista un secondo. Mangiarono pesce e frutta e la sirena giovane ordinò anche il dolce. Ursula bevve troppo e cominciò a straparlare. A un certo punto sua figlia la prese per un braccio e la condusse fuori. L'aria fresca la fece rientrare in sé. Dopo aver salutato il signor Arturo, le sirene raggiunsero il mare e si immersero. Faceva freddo anche se era maggio inoltrato. La giovane ebbe un brivido ma lo stesso scomparve sotto la superficie delle onde.
Dopo che se ne furono andate il signor Arturo si sedette sulla spiaggia e rimase a guardare il mare.
Ci avviciniamo alla fine del romanzo e il signor Arturo si può concedere il lusso di sognare. Naturalmente i sogni migliori si fanno ad occhi aperti e ciò che si sogna è ciò che si desidera, esattamente quel che accade al signor Arturo che in questo capitolo incontra due sirene.
Le sirene sono una favola antica, Ulisse decise di ascoltare il loro canto sfidando la ferrea regola che glielo impediva. Per essere sicuro di non perdere la ragione al suono della loro voce, impose al proprio equipaggio di legarlo, lui condottiero, all'albero maestro della nave, e di non obbedire all'ordine di slegarlo fino a quando il canto delle mitiche donne-pesce non avesse cessato di essere udibile. I marinai, per non incappare nella malìa di quei versi, si tapparono le orecchie con la cera.
Le cose andarono proprio in quel modo, il baldo navigatore rimase legato e poté soddisfare la sua curiosità. Attratto dalle voci delle sirene, incanto al quale nessun cervello umano può sfuggire, strepitò che lo liberassero per potersi congiungere alle femmine degli abissi, ma l'equipaggio non gli permise di farlo, salvandogli la vita.
Le sirene con le quali ha a che fare il signor Arturo non sono più quelle mitiche creature, sono mentecatte disperse che vagano in un mondo divenuto ostile, ovvero sono ciò che la contemporaneità ha fatto della poesia. Al giorno d'oggi ha valore solo ciò che si può comprare per contanti, filosofia tanto apprezzata in questo paese da costituire il credo del partito di maggioranza relativa e di molti altri gruppi politici. Il signor Arturo però nella purezza crede ancora, così decide di aiutare le sirene a ritrovare la strada di casa, ma lo fa senza dare nell'occhio, che in fondo, ormai l'avrete capito, è la sua cifra personale.
Buona lettura. Giovanni Zanzani.
COME FU CHE IL SIGNOR ARTURO PERSE UNA SCARPA |
Capitolo ventunesimo
Sirene
Quel pomeriggio il signor Arturo aveva portato la macchina al lavaggio. Osvaldo il benzinaio gli aveva appena fatto cenno di avvicinarsi all'impianto quando il signor Arturo sentì un fischio. Pensando che l’uomo gli volesse segnalare un pericolo frenò, nel piazzale dell'autolavaggio di sabato c'era sempre un gran casino.
Osvaldo si battè una mano sulla fronte, cosa fa quell'imbecille, entra o non entra?
Se non mi muovo va a finire che perdo il turno, pensò il signor Arturo.
-Vecchio citrullo!- sbottò una ragazza in fila dietro di lui.
Il fischio si ripeté, il signor Arturo questa volta comprese che c'era qualcuno nascosto tra i tubi dell’impianto, così posta la vettura davanti agli spazzoloni rotanti si avvicinò alla grata che copriva la fogna.
Fu allora che vide le sirene, madre e figlia, la vecchia con la faccia da megera, la figlia una gran topa.
Guarda queste, pensò, chissà dove si credono di essere.
Le sirene tenevano la faccia sotto la grata e fischiavano a più non posso per far capire che si erano perse. Il signor Arturo fece un gesto con le mani per dire – aspettate -, allora le due si misero tranquille.
Quando la vettura fu pronta, il signor Arturo fece segno alle sirene che lo seguissero. Prima le guidò lungo le fognature suonando il clacson, poi giunti al naviglio, le fece uscire allo scoperto e procurò loro qualcosa da mangiare, un sacchetto di ciliege, frutta che piacque assai alle donne-pesce. Parlare non fu possibile, ma il signor Arturo riuscì a farsi dire i nomi, Ursula, la madre e Rada, la figlia. Si rimisero in viaggio, il signor Arturo in macchina, le due sirene a nuoto nell’acqua del naviglio. Nel punto in cui questo si collega al fiume, per via di una inferriata posta a barriera tra i due corsi d’acqua, fu necessario che le due natanti attraversassero un prato. Lì il signor Arturo ebbe modo di vedere come erano fatte.
La giovane aveva capelli rossicci pieni di minuscole conchiglie e poppe rotonde, la vecchia mostrava una capigliatura bianco latte mentre le squame della sua coda apparivano grigie. La ragazza invece aveva squame di tutti i colori. Quella fu la cosa che piacque di più il signor Arturo. Egli non riusciva a staccare gli occhi dalla corazza iridescente della giovane sirena.
Appena giunte al fiume Ursula e Rada si occuparono della toeletta. Si misero a lisciare la superficie del corpo con le mani, anch'esse ricoperte di squame e poste su tozze braccia a forma di pinne. Era il loro modo di pulirsi, così facendo allontanarono la sporcizia che si era deposta sui loro corpi nelle fogne della città. All’improvviso cominciarono a chiedere del mare, il signor Arturo lo capì dai gesti.
- È molto lontano - disse.
Le accompagnò lungo il fiume, ma quando ebbero nuotato per un po’, le due creature scossero il capo. Attraverso i loro organi di senso avevano capito che il fiume era una strada sbarrata. Il signor Arturo si sovvenne della diga costruita negli ultimi anni vicino alla foce, una struttura di cemento che precludeva il passaggio. Allora decise di portarle al mare in automobile. Il viaggio fu agevole, la vettura era piena di giornali vecchi che servirono a riparare i sedili dalla sostanza gelatinosa che ricopriva i corpi di Rada e Ursula. La più anziana fece capire al signor Arturo di conoscere bene la città. Da giovane era stata sposata a un marinaio residente in un quartiere della periferia, la sirena mostrò una foto, il signor Arturo riconobbe il vecchio guarda-macchine dello stadio.
-Ma è Alfredo!- esclamò. In città tutti si ricordavano di lui. Alla vecchia sirena spuntarono le lacrime.
La vettura uscì dall'autostrada e si avvicinò ad una spiaggia poco frequentata. Le sirene scesero e raggiunsero l'acqua. Stavano per immergersi quando al signor Arturo venne in mente di fare delle foto. Prese la polaroid che teneva nel cruscotto e si mise in posa vicino ad esse. Lo scatto avvenne mentre egli ancora si muoveva, così il signor Arturo ne fece un secondo. A quel punto gli parve che non si potesse porre fine alla giornata senza una cena al ristorante.
È una pura invenzione che le sirene non possano camminare. I loro arti inferiori sono uniti a formare la pinna caudale, ma non in modo così rigido da impedire la deambulazione, esercizio al quale esse vengono addestrate fin da bambine. Il trio raggiunse la trattoria Stella Marina non prima che il signor Arturo avesse provveduto ad acquistare dei vestiti in un bazar della periferia.
Il passo claudicante delle donne, i vestiti dozzinali, lo sguardo euforico del signor Arturo, ce n’era d’avanzo perchè i camerieri sospettassero qualcosa di losco. Il caposala pensando che i tre volessero mangiare a sbafo non li perse di vista un secondo. Mangiarono pesce e frutta e la sirena giovane ordinò anche il dolce. Ursula bevve troppo e cominciò a straparlare. A un certo punto sua figlia la prese per un braccio e la condusse fuori. L'aria fresca la fece rientrare in sé. Dopo aver salutato il signor Arturo, le sirene raggiunsero il mare e si immersero. Faceva freddo anche se era maggio inoltrato. La giovane ebbe un brivido ma lo stesso scomparve sotto la superficie delle onde.
Dopo che se ne furono andate il signor Arturo si sedette sulla spiaggia e rimase a guardare il mare.
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