IL ROMANZO DEL SIGNOR ARTURO Prefazione al terzo capitolo

Il soggetto della terza avventura del signor Arturo è il silenzio, ma in realtà la protagonista del racconto è un'automobile, un fatto quanto mai contraddittorio. I miei editori, due perfidi affaristi, ne saranno felici, la parola automobile attirerà sul loro sito una valanga di messaggi promozionali pagati dai costruttori di quelle rumorose scatole di latta. La pubblicità al tempo di Internet è una bestia dotata di olfatto sopraffino che le consente di sapere dove si trova l’utente giusto. Essa compare in base alle parole che vede scritte sulla pagina, e a seconda di quelle cerca di piazzare il prodotto coerente. La parola “silenzio” al massimo potrebbe far giungere sui vostri monitor messaggi di reclame sulle suore di clausura, gente che non spende molto in pubblicità. Con la parola “automobile” invece chissà quante persone farò lavorare, a cominciare da Sergio Marchionne.
Silenzio dei complici, silenzio delle autorità, silenzio stampa, silenzio in sala, la congiura del silenzio, silenzio si gira. No, cari amici, nessuno di questi è il silenzio in cui si imbatterà il signor Arturo nel corso della terza puntata. Il nostro oscuro eroe dovrà vedersela con un silenzio più pensato che reale, perché si tratta del silenzio di un’automobile.

Buona lettura. Giovanni Zanzani.

P.S. Dopo aver osservato il ritratto del signor Arturo che gli editori hanno applicato sui frontespizi delle sue avventure, ho telefonato al personaggio per sapere cosa ne pensava. Come temevo il ragionier Diaz ha risposto che non va bene niente, dal colore della camicia al nodo della cravatta, mostrando di essere proprio un vanitoso.

 Giovanni Zanzani

COME FU CHE IL SIGNOR ARTURO PERSE UNA SCARPA
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Arturo Diaz


Capitolo terzo
Silenzio


Come automobilista, il signor Arturo avrebbe potuto essere ascritto alla categoria degli automobilisti maturi, quelli le cui abitudini di guida appaiono perfettamente consolidate. Finita la giovinezza nel corso della quale egli aveva affrontato tutte le difficoltà che l’imprudenza e la spavalderia creano quando vengono applicate alla guida dell’automobile, il signor Arturo era diventato uno dei tanti individui per i quali la macchina, alla stregua delle scarpe, rappresenta un oggetto di uso quotidiano. Egli dunque la utilizzava in modo tanto abitudinario da non avvertirne quasi la presenza.
In quel terso pomeriggio invernale il signor Arturo stava rincasando dopo il lavoro quando, giunto all’incrocio della circonvallazione con la statale, il semaforo rosso lo costrinse a fermarsi. Si trattava di un vecchio impianto installato ai tempi in cui la strada era l’unico collegamento della città col capoluogo, motivo che aveva indotto l’ufficio tecnico del comune a programmare i tempi del rosso e del verde privilegiando l’asse viario consolare rispetto alla meno trafficata circonvallazione cittadina. Con gli anni, la costruzione di una superstrada aveva tolto ogni importanza alla vecchia nazionale, ma nessuno in municipio mostrava di essersene accorto, e chi percorreva la circonvallazione doveva sostare per un tempo interminabile di fronte al semaforo rosso che favoriva una strada ormai perennemente deserta. Qualcuno se ne adirava e anche il signor Arturo ci si era spazientito più di una volta. Quella sera però fu con piacere che egli si sottomise all’obsoleto ordine di arresto: il colore azzurro del cielo tra i rami spogli dei platani offriva uno spettacolo così suggestivo da meritare quell’attimo di sosta. Il signor Arturo si fermò sulla linea dello stop e spense il motore. Un merlo che si abbeverava a una fontanella, incuriosito dall’improvviso silenzio della vettura, alzò il capo per osservarla.
Il signor Arturo era solo, l’incrocio completamente deserto, all’orizzonte la fascia arancione del tramonto si stemperava nel turchino della notte incombente e sull’incerto confine cromatico un’esile falce bianca annunciava l’avvio della fase lunare. Arturo Diaz, rapito dall’incanto, fece trascorrere i minuti senza rendersene conto: quando il semaforo diventò verde, si sentì stringere il cuore all’idea di dover ripartire. Ancora perso nella piccola estasi del silenzio egli volle far proseguire l’irrealtà di quell’attimo e spinse l’acceleratore senza aver riacceso il motore. Incredibilmente, appena il piede ebbe toccato il pedale, la macchina si avviò. Accompagnata dal fruscio dell’aria spostata e dal cigolio delle non più giovani sospensioni, essa si mise in movimento sotto il viale: il signor Arturo stava viaggiando a motore spento! Per qualche istante il capocontabile Diaz rimase paralizzato dallo stupore poi, ripreso il controllo di sè, sollevò il piede dal gas. La vettura rispose obbediente rallentando la propria corsa e puntando il muso verso l’asfalto. Con l’automatismo appreso in decenni di guida il piede tornò a premere la tavoletta metallica: la pronta reazione del mezzo confermò al signor Arturo che la velocità aveva ripreso ad aumentare e, a giudicare dalla pressione dello schienale sul suo corpo, con un certo brio. I vecchi alberi correvano velocemente ai finestrini mentre il signor Arturo fissava ora il volante ora la strada.
La via era poco trafficata e nessuno badava a quella berlina che avanzava silenziosamente nella sera. In luogo di svoltare a destra per avviarsi verso la propria abitazione, il signor Arturo prese a sinistra in direzione del colle dei Cappuccini. La macchina cominciò a salire lungo la via stretta e ripida che conduceva al belvedere. L’ampio piazzale era deserto, il signor Arturo si arrestò a contemplare la città. A est il cielo era già scuro, mentre a ovest il rosso si spegneva e diventava grigio. Una falce di luna galleggiava sull’orlo di lontane colline, prossima anch’essa al tramonto. Quando il cielo non mostrò altro che nero, il signor Arturo dormiva con la testa reclinata sul sedile.
Fu il freddo della notte a svegliarlo. Accovacciato sul cofano, un grosso gatto lo stava guardando. Il signor Arturo girò la chiave d’accensione: dal motore non giunse alcun segno di vita. Riprovò a lungo, ma invano.
L’indomani fu convocato Anteo, vecchio meccanico di fiducia, il quale al termine di una ispezione accurata scosse il capo.
-Non c’è proprio niente da fare, signor Diaz, è andata. Dia retta a me, la cambi.-

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Capitolo primo - Precipitevolissimevolmente
Capitolo secondo - Attualità
Capitolo terzo - Silenzio
Capitolo quarto - Fortuna
Capitolo quinto - Movimento
Capitolo sesto - Equilibrio
Capitolo settimo - Candore
Capitolo ottavo - Coordinate
Capitolo nono - Divisione
Capitolo decimo - Incontri
Capitolo undicesimo - Guerra
Capitolo dodicesimo - Tempo
Capitolo tredicesimo - Memoria
Capitolo quattordicesimo - Tremolio
Capitolo quindicesimo - Spavento
Capitolo sedicesimo - Rubare
Capitolo diciassettesimo - Bionde
Capitolo diciottesimo - Crepa
Capitolo diciannovesimo - Luna
Capitolo ventesimo - Cicatrici
Capitolo ventunesimo - Sirene
Capitolo ventiduesimo - Astri
Festa di commiato per il Sig. Arturo

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