IL ROMANZO DEL SIGNOR ARTURO Prefazione al ventesimo capitolo
Non sono cicatrici di guerra quelle di cui si occuperà il signor Arturo nel ventesimo e terzultimo capitolo delle sue avventure, né segni lasciati da attività sportive. Il signor Arturo non è mai stato in guerra e, quanto agli sport, preferisce seguirli alla televisione. Ebbene, non mi soffermerò su questo interrogativo, di che genere siano le cicatrici che costituiscono il tema del racconto i lettori potranno saperlo da soli, certamente non si tratta di complicanze della chirurgia estetica. Ora che l'argomento medico va molto di moda non vi è settimanale o canale televisivo che rinunci a fornire nuovi paure agli ipocondriaci, dunque era inevitabile che anche nella rapsodica vicenda del signor Arturo si parlasse degli acciacchi che affliggono l'umanità. Per quelli che cercano una morale ad ogni costo dirò che questa favoletta non aiuta a capire chi abbia ucciso l'Uomo Ragno, ma spiega perché anche lui con l'andar del tempo si sia appesantito sempre di più.
Buona lettura. Giovanni Zanzani.
Un refolo di vento, questa fu l'impressione che il signor Arturo provò in mezzo al prato quando la cosa lo accarezzò. Il signor Arturo che stava passeggiando in un parco cittadino si girò di botto, ma dietro di lui non c'era nessuno.
Qualche tempo dopo, ripassando per lo stesso prato (il signor Arturo era un abitudinario) riecco quella sensazione di venire urtato da qualcosa di molto leggero. C'era il sole quel giorno, e il parco era pieno di ragazze che correvano. Il signor Arturo sperò che si fosse trattato proprio di una collisione, che una bella ragazza lo avesse urtato mentre correva, invece niente, tutte facevano jogging a molti metri di distanza. Ci perse poco tempo, il sole e le ragazze gli fecero dimenticare il problema.
Quando successe per la terza volta ci rimase male. Era novembre avanzato, il freddo non era ancora pungente, ma una umidità astiosa era calata sulla città. Il signor Arturo aveva deciso di fare due passi nel parco approfittando di una pausa di lavoro. Nel mezzo del grande prato sentì di nuovo i capelli strisciare contro qualche cosa: si fermò e camminò avanti e indietro fino a quando non ebbe localizzato l'ostacolo, un paio di centimetri al di sopra della propria testa. Ma era un ostacolo? Nell'aria novembrina non c'era nulla che potesse intralciare il passaggio del suo corpo, nemmeno il più piccolo degli insetti. Il signor Arturo alzò una mano e raggiunse coi polpastrelli la posizione. Non c'erano dubbi, in quel punto c’era un addensamento, una irregolarità, qualcosa che gli fece pensare a una piega nella stiratura della camicia. Subito pensò a un oggetto trasparente, un filo, una plastica, un arnese qualsiasi dimenticato dopo qualche spettacolo all'aperto. Niente, sopra di lui non c'era proprio nulla. - Questa è buona, disse, va a finire che dò i numeri.
Adocchiata una scala da giardiniere lasciata dagli addetti dietro un cespuglio di lillà, vi salì sopra e traguardò l'orizzonte dal punto dove i capelli venivano sfiorati. Una specie di onda d'aria partiva dal bordo del prato e lo attraversava del tutto. Fu in quel momento, quando con la fronte raggiunse l'onda, che il signor Arturo captò in quella cosa una vecchia arrabbiatura, un'arrabbiatura che a suo tempo gli aveva tolto il sonno e che ora, sebbene egli non ne ricordasse più il motivo, se ne stava nel bel mezzo del prato senza nessuna intenzione di spostarsi. Il signor Arturo ci ripassò il pomeriggio successivo e l’impronta dell'arrabbiatura era ancora là, stabilmente piantata in quella parte di mondo!
Ecco spiegato l’arcano, pensò, le arrabbiature, una volta partorite, rimangono attaccate al loro luogo natale. Soddisfatto della scoperta, si mise alla ricerca degli altri segni lasciati dalle alterazioni del suo umore. Oltre il parco rinvenne un'altra piccola curvatura, la stizza causata dalla contravvenzione per divieto di sosta di qualche mese prima.
Ora il signor Arturo cominciava a divertirsi, così raggiunse la stazione ferroviaria per scoprire una lunga ondulazione dove l’anno precedente aveva perso il treno (e poi l'aereo) che lo avrebbero dovuto condurre in vacanza, quella sì un’incazzatura coi fiocchi!
Arrabbiature, irritazioni, risentimenti, in una settimana di verifiche li rittrovò tutti, collocati in punti differenti della città, ma saldamente connessi al tratto di mondo nel quale erano stati prodotti. Qui una ammaccatura causata da un litigio, là un breve gradino determinato da una incomprensione, in fondo al viale un'altra deformità prodotta da una delusione d'amore. Il signor Arturo non sapeva se rallegrarsi o rammaricarsi per la persistenza di quelle tracce. Lasciò che passasse del tempo prima di effettuare una nuova verifica, ma quei segni non mostrarono cambiamenti apprezzabili. Le pieghe non avevano perso la loro ampiezza ed egli le ritrovava sempre nel medesimo punto della città. Fu una magra soddisfazione scoprire un certo impercettibile calo nella loro consistenza.
Le cicatrici dell’esistenza sono permanenti.
Non sono cicatrici di guerra quelle di cui si occuperà il signor Arturo nel ventesimo e terzultimo capitolo delle sue avventure, né segni lasciati da attività sportive. Il signor Arturo non è mai stato in guerra e, quanto agli sport, preferisce seguirli alla televisione. Ebbene, non mi soffermerò su questo interrogativo, di che genere siano le cicatrici che costituiscono il tema del racconto i lettori potranno saperlo da soli, certamente non si tratta di complicanze della chirurgia estetica. Ora che l'argomento medico va molto di moda non vi è settimanale o canale televisivo che rinunci a fornire nuovi paure agli ipocondriaci, dunque era inevitabile che anche nella rapsodica vicenda del signor Arturo si parlasse degli acciacchi che affliggono l'umanità. Per quelli che cercano una morale ad ogni costo dirò che questa favoletta non aiuta a capire chi abbia ucciso l'Uomo Ragno, ma spiega perché anche lui con l'andar del tempo si sia appesantito sempre di più.
Buona lettura. Giovanni Zanzani.
COME FU CHE IL SIGNOR ARTURO PERSE UNA SCARPA |
Capitolo ventesimo
Cicatrici
Un refolo di vento, questa fu l'impressione che il signor Arturo provò in mezzo al prato quando la cosa lo accarezzò. Il signor Arturo che stava passeggiando in un parco cittadino si girò di botto, ma dietro di lui non c'era nessuno.
Qualche tempo dopo, ripassando per lo stesso prato (il signor Arturo era un abitudinario) riecco quella sensazione di venire urtato da qualcosa di molto leggero. C'era il sole quel giorno, e il parco era pieno di ragazze che correvano. Il signor Arturo sperò che si fosse trattato proprio di una collisione, che una bella ragazza lo avesse urtato mentre correva, invece niente, tutte facevano jogging a molti metri di distanza. Ci perse poco tempo, il sole e le ragazze gli fecero dimenticare il problema.
Quando successe per la terza volta ci rimase male. Era novembre avanzato, il freddo non era ancora pungente, ma una umidità astiosa era calata sulla città. Il signor Arturo aveva deciso di fare due passi nel parco approfittando di una pausa di lavoro. Nel mezzo del grande prato sentì di nuovo i capelli strisciare contro qualche cosa: si fermò e camminò avanti e indietro fino a quando non ebbe localizzato l'ostacolo, un paio di centimetri al di sopra della propria testa. Ma era un ostacolo? Nell'aria novembrina non c'era nulla che potesse intralciare il passaggio del suo corpo, nemmeno il più piccolo degli insetti. Il signor Arturo alzò una mano e raggiunse coi polpastrelli la posizione. Non c'erano dubbi, in quel punto c’era un addensamento, una irregolarità, qualcosa che gli fece pensare a una piega nella stiratura della camicia. Subito pensò a un oggetto trasparente, un filo, una plastica, un arnese qualsiasi dimenticato dopo qualche spettacolo all'aperto. Niente, sopra di lui non c'era proprio nulla. - Questa è buona, disse, va a finire che dò i numeri.
Adocchiata una scala da giardiniere lasciata dagli addetti dietro un cespuglio di lillà, vi salì sopra e traguardò l'orizzonte dal punto dove i capelli venivano sfiorati. Una specie di onda d'aria partiva dal bordo del prato e lo attraversava del tutto. Fu in quel momento, quando con la fronte raggiunse l'onda, che il signor Arturo captò in quella cosa una vecchia arrabbiatura, un'arrabbiatura che a suo tempo gli aveva tolto il sonno e che ora, sebbene egli non ne ricordasse più il motivo, se ne stava nel bel mezzo del prato senza nessuna intenzione di spostarsi. Il signor Arturo ci ripassò il pomeriggio successivo e l’impronta dell'arrabbiatura era ancora là, stabilmente piantata in quella parte di mondo!
Ecco spiegato l’arcano, pensò, le arrabbiature, una volta partorite, rimangono attaccate al loro luogo natale. Soddisfatto della scoperta, si mise alla ricerca degli altri segni lasciati dalle alterazioni del suo umore. Oltre il parco rinvenne un'altra piccola curvatura, la stizza causata dalla contravvenzione per divieto di sosta di qualche mese prima.
Ora il signor Arturo cominciava a divertirsi, così raggiunse la stazione ferroviaria per scoprire una lunga ondulazione dove l’anno precedente aveva perso il treno (e poi l'aereo) che lo avrebbero dovuto condurre in vacanza, quella sì un’incazzatura coi fiocchi!
Arrabbiature, irritazioni, risentimenti, in una settimana di verifiche li rittrovò tutti, collocati in punti differenti della città, ma saldamente connessi al tratto di mondo nel quale erano stati prodotti. Qui una ammaccatura causata da un litigio, là un breve gradino determinato da una incomprensione, in fondo al viale un'altra deformità prodotta da una delusione d'amore. Il signor Arturo non sapeva se rallegrarsi o rammaricarsi per la persistenza di quelle tracce. Lasciò che passasse del tempo prima di effettuare una nuova verifica, ma quei segni non mostrarono cambiamenti apprezzabili. Le pieghe non avevano perso la loro ampiezza ed egli le ritrovava sempre nel medesimo punto della città. Fu una magra soddisfazione scoprire un certo impercettibile calo nella loro consistenza.
Le cicatrici dell’esistenza sono permanenti.
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