IL ROMANZO DEL SIGNOR ARTURO Prefazione al tredicesimo capitolo
Il signor Arturo in questo capitolo si trova coinvolto in una vicenda complicata, il mondo è ostaggio di un ignoto furfante che ha alterato la verità provocando conseguenze imprevedibili. Indossata la sua divisa di super-eroe, la grisaglia da impiegato di banca, il contabile si lancia alla ricerca del malfattore per rimettere le cose a posto.
Anche a noi italiani sta accadendo qualcosa di simile, da diverso tempo qualcuno ci sta raccontando un sacco di balle servendosi dei giornali e delle televisioni. Il fatto curioso è che, nonostante questo signore disponga di una gran quantità di mezzi per affermare la sua ragione farlocca, la verità continua a saltar fuori lo stesso con grande scorno suo e dei suoi ottusi servitori.
Al mondo accade sovente che qualcuno alteri la verità, è successo nel passato e succederà nel futuro. Interi sistemi di potere si sono retti sulla menzogna ed hanno resistito anni prima di crollare. Ma quando la verità viene riaffermata, essa cancella di colpo tutte le brutture che hanno cercato di sostituirsi a lei e allora l'intero castello di menzogne si sfarina come un castello di sabbia sotto l'onda della marea. Nomi e ruoli dei pubblici bugiardi scompaiono letteralmente dalla storia.
Buona lettura. Giovanni Zanzani.
Mentre attraversava una via affollata il signor Arturo scorse Goffredo entrare in pasticceria. Fu un attimo, poi l’uomo scomparve dietro le grandi tende verdi che si muovevano languidamente nella giornata estiva. Luglio aveva quasi svuotato la città e il signor Arturo approfittava della pausa di mezzogiorno per fare due passi. Giusto quella mattina uscendo di casa gli era tornato in mente l’amico Goffredo. Che combinazione pensò, poco fa ho pensato a lui ed ecco che lo vedo. Quando si trovò alle sue spalle fu tentato di fargli uno scherzo, come battergli la spalla destra stando alla sua sinistra o un’altra stupidaggine del genere, qualcosa però lo trattenne e fu una fortuna perché quando quello si girò il signor Arturo scoprì di essersi sbagliato: l’uomo somigliava semplicemente a Goffredo, non era lui. Strano, pensò, avrei giurato che si trattasse proprio di quel vecchio perdigiorno.
La striscia bianca di un’aereo solcò il cielo sopra la città mentre il signor Arturo raggiungeva il giornalaio per acquistare il quotidiano. Di fronte all’edicola una donna stava parcheggiando la vettura, il signor Arturo si avvicinò per salutarla, erano più di tre anni che non vedeva la cugina Lisa. La signora armeggiava col disco orario tenendo aperto lo sportello. Il signor Arturo si avvicinò sorridendo, ma il sorriso gli si spense sulle labbra. Non si trattava di Lisa, la donna gli rivolse uno sguardo inespressivo e chiuse la macchina, il signor Arturo fece finta di niente e proseguì sul marciapiede. Una semplice somiglianza, pensò, una banale somiglianza. Il giorno seguente fu la volta della professoressa Valle. L’anziana insegnante si trovava seduta di fronte all’impiegato dell’ufficio cambi e il signor Arturo non potè fare a meno di riconoscere la professoressa di chimica che non vedeva dai tempi della scuola. Reso guardingo dagli incontri “sbagliati” del giorno precedente, il signor Arturo fece finta di nulla.
- Arturo, non far finta di non conoscermi, canaglia!
Il signor Arturo si vergognò come un ladro, bella figura aveva fatto, e pensare che era stato il cocco della professoressa Valle. Cercando di scusarsi le porse la mano.
- Giuro che non l’avevo vista professoressa, come sta?
- Ma quale professoressa. Con chi mi confondi Arturo, vuoi dire che non ti ricordi di me? Sono zia Clara, la tua madrina di cresima, asinaccio!
Il signor Arturo si bloccò e non fu in grado di reagire per un istante lunghissimo. Quando si riprese cominciò a riflettere su ciò che stava accadendo. Era evidente che un elemento sconosciuto stava mettendo a repentaglio l’efficienza della sua memoria. Il signor Arturo piombò in uno stato di disagio. Cominciò a entrare e uscire da casa con la testa bassa cercando di evitare lo sguardo delle persone che incrociava. Quegli equivoci lo angustiavano, di fronte a visi che sembravano noti, ma che si rivelavano sconosciuti, lo coglieva un senso di smarrimento. Girare a testa bassa nei primi tempi lo rattristò, poi ci fece l'abitudine, lentamente il sorriso tornò sulle sue labbra ed egli riprese a camminare guardando in avanti come aveva sempre fatto.
Un pomeriggio si trovò a passare per una strada che non frequentava quando una manata sulla spalla lo fece girare.
- Guarda chi si vede!
Il signor Arturo si girò aspettandosi di scorgere un amico: di fronte a lui stava un perfetto sconosciuto.
- Che piacere Arturo, ti trovo proprio bene.
- Il piacere è mio. Qual buon vento?
Il signor Arturo cercava di guadagnare tempo con frasi generiche, ma il volto dell'uomo continuava a restargli ignoto. L'uomo intanto aveva ripreso a parlare.
- Passavo di qua quando ti ho visto, così mi sono detto: diamo una voce al vecchio orso. Tutto bene in famiglia?
La conversazione proseguì su questo tono senza che il signor Arturo riuscisse a identificare il suo interlocutore.
Quello fu il primo di molti incontri inspiegabili che il signor Arturo ebbe nel corso del mese, ma l'episodio più grave doveva ancora accadere. Pioveva forte quel mattino e il signor Arturo aveva preso l'autobus, cosa che faceva malvolentieri. Chiuso l’ombrello e superato lo scalino della vettura, il signor Arturo si trovò faccia a faccia con Edgardo Saporetti, suo compagno di banco all'istituto di ragioneria. Il signor Arturo che non era mai stato un uomo pauroso non poté reprimere un moto di terrore nello scorgere quel volto: Edgardo Saporetti era morto da venticinque anni! Spinto dalla gravità della situazione, il signor Arturo capì che non poteva più indugiare, così dopo aver avvertito che non si sarebbe recato al lavoro, si mise in viaggio.
La fine del mondo si trovava cinquanta chilometri a ovest della città, oltre una vasta brughiera. In passato il luogo era stato assai frequentato, poi lentamente sulla località era calato l'oblio. Il posto non era brutto, mare, scogliere, tane di conigli selvatici, insomma tutto ciò che un’accorta gestione dei flussi turistici è in grado di trasformare in fiorente business. Una grande catena di alberghi si era accaparrata un bel lotto di terreno con l'intenzione di costruirci sopra qualche cosa, ma non ne aveva fatto nulla per un motivo semplice: la gente alla fine del mondo non ci voleva proprio andare. In anni più recenti, a pochi chilometri di distanza si era sviluppata la Costa delle Conchiglie, insediamento turistico-residenziale ricco di cottage, alberghi di lusso e locali da ballo, così il pubblico aveva smesso del tutto di frequentare le falesie brumose della fine del mondo per indirizzarsi in massa verso le spiagge alla moda. Per il signor Arturo la fine del mondo rappresentava un ricordo di quando da ragazzo ce lo portava lo zio Cristoforo per la caccia ai conigli.
Sulla sommità del promontorio a picco sul mare una costruzione di pietra, forse una antica caserma, fungeva da bar e da pensione per i pochi visitatori. Sul muretto posto al limite della falesia il signor Arturo ritovò il segnale di bronzo con le coordinate geografiche del luogo e come sospettava scoprì il misfatto: la fine del mondo era stata spostata!
- Sono Arturo Diaz, ho telefonato oggi, disse appena entrato nel locale. La donna che sedeva dietro al bancone smise di leggere il giornale e lo squadrò.
- Diaz, ha detto?
Il signor Arturo assentì. Il bar in quel momento era vuoto.
- E’ lei che ha chiesto una camera?
- Sono io, ma ora la camera non mi serve più. Chi ha spostato il segnale dell’istituto idrografico?
La frase era stata brusca, la barista abbassò gli occhi.
- Lei è della capitaneria, vero?
Il signor Arturo capì di aver fatto centro. La donna raccontò che era stata una frana a distruggere il muretto, che lei aveva chiamato i muratori, che quelli erano i soliti ignoranti incapaci di distinguere una targa di bronzo da un sasso, e via di questo passo con una lunga serie di particolari che altro non erano se non un goffo tentativo di nascondere l’ampliamento abusivo del ristorantino. Il signor Arturo comprese di dover continuare la messinscena se voleva che i suoi ricordi fossero riportati alle condizioni originarie. Spacciandosi per un ufficiale della capitaneria accusò la donna di manomissione di segnaletica militare. Tuttavia fu comprensivo, si accontentò di far rimettere la piastrina nella posizione giusta senza applicare sanzioni. Marta Cleveland, un’americana di Washington con bellissimi occhi verdi, non fece obiezioni.
- Come le è saltato in mente di spostare il segnale della fine del mondo, domandò il signor Arturo, non ha pensato alle conseguenze?
- Che c’è di male, disse lei versando il caffè nelle tazze. Che saranno tre metri di differenza in un mondo così grande?
Benedetti americani! pensò il signor Arturo.
La targhetta venne ricolocata nella posizione giusta, dopodiché il signor Arturo si congedò. Nella settimana che seguì egli rivide vecchi amici e riconobbe angoli della città che in giovinezza aveva frequentato. La sua memoria funzionava così bene che il signor Arturo ritrovò in un punto nascosto del parco cittadino l’ippocastano sotto il quale aveva dato il primo bacio a Ottavia, compagna sedicenne. Peccato che il cuore inciso sulla corteccia si fosse ingrossato fino ad assumere l’aspetto di una patata.
Il signor Arturo in questo capitolo si trova coinvolto in una vicenda complicata, il mondo è ostaggio di un ignoto furfante che ha alterato la verità provocando conseguenze imprevedibili. Indossata la sua divisa di super-eroe, la grisaglia da impiegato di banca, il contabile si lancia alla ricerca del malfattore per rimettere le cose a posto.
Anche a noi italiani sta accadendo qualcosa di simile, da diverso tempo qualcuno ci sta raccontando un sacco di balle servendosi dei giornali e delle televisioni. Il fatto curioso è che, nonostante questo signore disponga di una gran quantità di mezzi per affermare la sua ragione farlocca, la verità continua a saltar fuori lo stesso con grande scorno suo e dei suoi ottusi servitori.
Al mondo accade sovente che qualcuno alteri la verità, è successo nel passato e succederà nel futuro. Interi sistemi di potere si sono retti sulla menzogna ed hanno resistito anni prima di crollare. Ma quando la verità viene riaffermata, essa cancella di colpo tutte le brutture che hanno cercato di sostituirsi a lei e allora l'intero castello di menzogne si sfarina come un castello di sabbia sotto l'onda della marea. Nomi e ruoli dei pubblici bugiardi scompaiono letteralmente dalla storia.
Buona lettura. Giovanni Zanzani.
COME FU CHE IL SIGNOR ARTURO PERSE UNA SCARPA |
Capitolo tredicesimo
Memoria
Mentre attraversava una via affollata il signor Arturo scorse Goffredo entrare in pasticceria. Fu un attimo, poi l’uomo scomparve dietro le grandi tende verdi che si muovevano languidamente nella giornata estiva. Luglio aveva quasi svuotato la città e il signor Arturo approfittava della pausa di mezzogiorno per fare due passi. Giusto quella mattina uscendo di casa gli era tornato in mente l’amico Goffredo. Che combinazione pensò, poco fa ho pensato a lui ed ecco che lo vedo. Quando si trovò alle sue spalle fu tentato di fargli uno scherzo, come battergli la spalla destra stando alla sua sinistra o un’altra stupidaggine del genere, qualcosa però lo trattenne e fu una fortuna perché quando quello si girò il signor Arturo scoprì di essersi sbagliato: l’uomo somigliava semplicemente a Goffredo, non era lui. Strano, pensò, avrei giurato che si trattasse proprio di quel vecchio perdigiorno.
La striscia bianca di un’aereo solcò il cielo sopra la città mentre il signor Arturo raggiungeva il giornalaio per acquistare il quotidiano. Di fronte all’edicola una donna stava parcheggiando la vettura, il signor Arturo si avvicinò per salutarla, erano più di tre anni che non vedeva la cugina Lisa. La signora armeggiava col disco orario tenendo aperto lo sportello. Il signor Arturo si avvicinò sorridendo, ma il sorriso gli si spense sulle labbra. Non si trattava di Lisa, la donna gli rivolse uno sguardo inespressivo e chiuse la macchina, il signor Arturo fece finta di niente e proseguì sul marciapiede. Una semplice somiglianza, pensò, una banale somiglianza. Il giorno seguente fu la volta della professoressa Valle. L’anziana insegnante si trovava seduta di fronte all’impiegato dell’ufficio cambi e il signor Arturo non potè fare a meno di riconoscere la professoressa di chimica che non vedeva dai tempi della scuola. Reso guardingo dagli incontri “sbagliati” del giorno precedente, il signor Arturo fece finta di nulla.
- Arturo, non far finta di non conoscermi, canaglia!
Il signor Arturo si vergognò come un ladro, bella figura aveva fatto, e pensare che era stato il cocco della professoressa Valle. Cercando di scusarsi le porse la mano.
- Giuro che non l’avevo vista professoressa, come sta?
- Ma quale professoressa. Con chi mi confondi Arturo, vuoi dire che non ti ricordi di me? Sono zia Clara, la tua madrina di cresima, asinaccio!
Il signor Arturo si bloccò e non fu in grado di reagire per un istante lunghissimo. Quando si riprese cominciò a riflettere su ciò che stava accadendo. Era evidente che un elemento sconosciuto stava mettendo a repentaglio l’efficienza della sua memoria. Il signor Arturo piombò in uno stato di disagio. Cominciò a entrare e uscire da casa con la testa bassa cercando di evitare lo sguardo delle persone che incrociava. Quegli equivoci lo angustiavano, di fronte a visi che sembravano noti, ma che si rivelavano sconosciuti, lo coglieva un senso di smarrimento. Girare a testa bassa nei primi tempi lo rattristò, poi ci fece l'abitudine, lentamente il sorriso tornò sulle sue labbra ed egli riprese a camminare guardando in avanti come aveva sempre fatto.
Un pomeriggio si trovò a passare per una strada che non frequentava quando una manata sulla spalla lo fece girare.
- Guarda chi si vede!
Il signor Arturo si girò aspettandosi di scorgere un amico: di fronte a lui stava un perfetto sconosciuto.
- Che piacere Arturo, ti trovo proprio bene.
- Il piacere è mio. Qual buon vento?
Il signor Arturo cercava di guadagnare tempo con frasi generiche, ma il volto dell'uomo continuava a restargli ignoto. L'uomo intanto aveva ripreso a parlare.
- Passavo di qua quando ti ho visto, così mi sono detto: diamo una voce al vecchio orso. Tutto bene in famiglia?
La conversazione proseguì su questo tono senza che il signor Arturo riuscisse a identificare il suo interlocutore.
Quello fu il primo di molti incontri inspiegabili che il signor Arturo ebbe nel corso del mese, ma l'episodio più grave doveva ancora accadere. Pioveva forte quel mattino e il signor Arturo aveva preso l'autobus, cosa che faceva malvolentieri. Chiuso l’ombrello e superato lo scalino della vettura, il signor Arturo si trovò faccia a faccia con Edgardo Saporetti, suo compagno di banco all'istituto di ragioneria. Il signor Arturo che non era mai stato un uomo pauroso non poté reprimere un moto di terrore nello scorgere quel volto: Edgardo Saporetti era morto da venticinque anni! Spinto dalla gravità della situazione, il signor Arturo capì che non poteva più indugiare, così dopo aver avvertito che non si sarebbe recato al lavoro, si mise in viaggio.
La fine del mondo si trovava cinquanta chilometri a ovest della città, oltre una vasta brughiera. In passato il luogo era stato assai frequentato, poi lentamente sulla località era calato l'oblio. Il posto non era brutto, mare, scogliere, tane di conigli selvatici, insomma tutto ciò che un’accorta gestione dei flussi turistici è in grado di trasformare in fiorente business. Una grande catena di alberghi si era accaparrata un bel lotto di terreno con l'intenzione di costruirci sopra qualche cosa, ma non ne aveva fatto nulla per un motivo semplice: la gente alla fine del mondo non ci voleva proprio andare. In anni più recenti, a pochi chilometri di distanza si era sviluppata la Costa delle Conchiglie, insediamento turistico-residenziale ricco di cottage, alberghi di lusso e locali da ballo, così il pubblico aveva smesso del tutto di frequentare le falesie brumose della fine del mondo per indirizzarsi in massa verso le spiagge alla moda. Per il signor Arturo la fine del mondo rappresentava un ricordo di quando da ragazzo ce lo portava lo zio Cristoforo per la caccia ai conigli.
Sulla sommità del promontorio a picco sul mare una costruzione di pietra, forse una antica caserma, fungeva da bar e da pensione per i pochi visitatori. Sul muretto posto al limite della falesia il signor Arturo ritovò il segnale di bronzo con le coordinate geografiche del luogo e come sospettava scoprì il misfatto: la fine del mondo era stata spostata!
- Sono Arturo Diaz, ho telefonato oggi, disse appena entrato nel locale. La donna che sedeva dietro al bancone smise di leggere il giornale e lo squadrò.
- Diaz, ha detto?
Il signor Arturo assentì. Il bar in quel momento era vuoto.
- E’ lei che ha chiesto una camera?
- Sono io, ma ora la camera non mi serve più. Chi ha spostato il segnale dell’istituto idrografico?
La frase era stata brusca, la barista abbassò gli occhi.
- Lei è della capitaneria, vero?
Il signor Arturo capì di aver fatto centro. La donna raccontò che era stata una frana a distruggere il muretto, che lei aveva chiamato i muratori, che quelli erano i soliti ignoranti incapaci di distinguere una targa di bronzo da un sasso, e via di questo passo con una lunga serie di particolari che altro non erano se non un goffo tentativo di nascondere l’ampliamento abusivo del ristorantino. Il signor Arturo comprese di dover continuare la messinscena se voleva che i suoi ricordi fossero riportati alle condizioni originarie. Spacciandosi per un ufficiale della capitaneria accusò la donna di manomissione di segnaletica militare. Tuttavia fu comprensivo, si accontentò di far rimettere la piastrina nella posizione giusta senza applicare sanzioni. Marta Cleveland, un’americana di Washington con bellissimi occhi verdi, non fece obiezioni.
- Come le è saltato in mente di spostare il segnale della fine del mondo, domandò il signor Arturo, non ha pensato alle conseguenze?
- Che c’è di male, disse lei versando il caffè nelle tazze. Che saranno tre metri di differenza in un mondo così grande?
Benedetti americani! pensò il signor Arturo.
La targhetta venne ricolocata nella posizione giusta, dopodiché il signor Arturo si congedò. Nella settimana che seguì egli rivide vecchi amici e riconobbe angoli della città che in giovinezza aveva frequentato. La sua memoria funzionava così bene che il signor Arturo ritrovò in un punto nascosto del parco cittadino l’ippocastano sotto il quale aveva dato il primo bacio a Ottavia, compagna sedicenne. Peccato che il cuore inciso sulla corteccia si fosse ingrossato fino ad assumere l’aspetto di una patata.
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