LO YETI
Storia del primo contatto tra l'abominevole uomo delle nevi e l'homo sapiens
di
GIOVANNI ZANZANI
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CAPITOLO 19
Quello che trasse maggior beneficio dall'epilogo della vicenda fu Fred. Da quando si sospettò l'imbroglio, nessuna rete volle più parlare di lui. Il fatto di essere stato cancellato dai palinsesti televisivi fu la fortuna del buon selvaggio. Nel giro di due settimane nuovi eroi conquistarono gli effimeri sentimenti del pollaio mediatico, così l'immagine di Fred uscì dal mondo della comunicazione in maniera definitiva.
Fu in quel periodo che conobbe Orsola. Poiché i colori vivaci della natura esercitavano sulla sua anima una forte attrazione, scavalcò la rete che cingeva il parco di Sibille Bardi per osservare da vicino una pianta fiorita nel giardino confinante. Si trattava della proprietà del cavalier Agenore Della Sala, industriale morto da tempo, la cui passione per i fiori era stata pari solo a quella per le ragazze di vita. La villa era abitata da Orsola, la sua ultima cocotte, una cinquantenne che l'amante, prima di scomparire, aveva reso padrona del sontuoso immobile. Orsola viveva in compagnia di un vecchio custode e di due temibili cani da guardia. Quando vide le belve trottare a capo chino dietro all'intruso peloso, la signora si chiese chi fosse il temerario che aveva trasformato i suoi molossi in agnellini e, conquistata dalla sua imperturbabilità, lo invitò a entrare in casa.
L’amore per l’uomo delle nevi risultò facile a Orsola. Fred sapeva ispirare le sue carezze e ricambiarle. A lei non parve vero dividere il letto con quell'orso gentile che l'amava in modo grato e silenzioso.
Il giorno che Sibille vide il suo yeti zappare la terra sotto le camelie della vicina capì di non poter fare più nulla per riaverlo, dagli occhi opachi dell’ominide filtrava una luce chiara che si accendeva dei colori delle piante fiorite. Sibille riprese a dormire da sola e smise di acquistare mele al supermercato, ma non profumi francesi che continuò a usare in maniera sfrenata.
Di ritorno dall'Asia, incuriosito dal racconto di Bernini, feci in modo di entrare in contatto con Fred, impresa che mi riuscì quando scoprii che lo yeti frequentava il dopolavoro ferroviario della città. La sera del martedì, giorno in cui era libero dagli impegni nel parco di Orsola, Fred raggiungeva il vecchio circolo per mangiare una pizza, alimento che suscitava in lui molto entusiasmo. I soci del dopolavoro avevano fatto l'abitudine a quella figura dalla folta barba grigia e lo accettavano alla stregua degli altri frequentatori del circolo, un'umanità povera attratta dal cibo onesto e poco costoso della popolare mensa.
Non impiegai molto per legare con lui e sviluppammo un ricco scambio di idee nella complessità di una comunicazione che si articolava in occhiate e gesti. Consumammo più di una pizza insieme ed ebbi modo di conoscere aspetti peculiari del suo carattere. Capii che Fred vedeva nel mondo qualche cosa che a me sfuggiva. La neve aveva insegnato alla sua specie l'inganno delle apparenze, presentandosi al principio del suo cadere sotto forma di infinità di fiocchi, per giungere, nel prosieguo delle nevicate, alla cancellazione completa delle cose. Il tutto e il niente, elemento che indicava chiudendo gli occhi per qualche istante (la qual cosa parve a me una intuizione straordinaria), erano i confini dell'universo, e la nostra vita ne attraversava l'implacabile mistero. Cresciuto nel nulla ubiquitario della neve, non veniva agganciato dagli artigli comunicativi del nostro variopinto armamentario mediale che pure egli amava. Lo sviavano curiosamente certi inserti pubblicitari dove, se il messaggio reclamizzava caffè servendosi di una scena dove compariva un cane, Fred notava il cane e quello cercava nel supermercato. Inutile dire quanto lo stupisse il non poter mai effettuarne l'acquisto.
Anche del suo mutismo ebbi modo di approfondire la genesi quando Fred si espresse intorno alla voce indicandola come un esercizio comunicativo pleonastico che la sua gente aveva abbandonato. Fu questo il momento più alto del nostro scambio culturale. Colpito da un sapere così acuto in un individuo che ritenevo un primate dal cervello limitato, volli approfondire l'argomento. Il mio stupore crebbe quando mi confessò la tendenza emergente tra gli yeti contemporanei a spegnere (dopo averlo fatto con le parole pronunciate) anche la loro formulazione mentale sostituendola con ingredienti cromatici e olfattivi allo scopo di sottrarre il pensiero alla fanfara dei fonemi. Turbato da una rivelazione che cancellava dentro di me certezze consolidate, mi scappò di chiedere:
-Ma allora gli yeti hanno capito tutto?-
Con un brontolio che mi fece pensare a una valanga che spazza il fondovalle, Fred mormorò l'unico verbo che gli udii mai vocalizzare.
-Noooo!-
Un giorno mi invitò a visitare il giardino di Orsola, così conobbi anche la sua fidanzata. Negli ultimi tempi si è consolidato tra noi tre un bel sodalizio. Ogni due settimane li vado a trovare e trascorro una serata in loro compagnia. Mentre Orsola prepara la cena, Fred passeggia con me sui prati della villa o lungo i sentieri che attraversano il boschetto delle camelie. A volte indica un albero al quale ha dedicato qualche cura, oppure un fiore sbocciato da poco. Ho provato a chiedergli se gli piacerebbe tornare sulle montagne dove è nato, ma la domanda lo ha confuso. Credo non si renda conto di trovarsi così lontano dal suo paese, e comunque mi ha dato l'impressione di non nutrire nostalgia per i luoghi dove ha trascorso la giovinezza.
Una sera, mentre passeggiavamo in giardino, ho notato una signora che abita da quelle parti passare sul viale che fiancheggia il parco col carrello della spesa colmo di mele. Si trattava di frutti di importazione nuovi e colorati che da qualche tempo sono in vendita nei nostri supermercati. La vista di quei pomi succulenti ha acceso l'attenzione dello yeti al punto da fargli cogliere un fiore da offrire alla sconosciuta la quale ha ricambiato con una mela.
A me è parso di capire che un giorno o l’altro anche Orsola dovrà riabituarsi a dormire da sola.
FINE
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