LO YETI
Storia del primo contatto tra l'abominevole uomo delle nevi e l'homo sapiens
di
GIOVANNI ZANZANI
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CAPITOLO 2
La notte himalayana, il cane misterioso, l’uomo alto e coperto di pelli che scende dal bosco innevato. Ce n’era abbastanza per farsi suggestionare e trarre conclusioni fantasiose. Impressionato dall'apparizione notturna, Bernini precipitò col pensiero nella leggenda dell'abominevole uomo delle nevi che abita i labirinti di ghiaccio delle nostre menti. Veniva da quelle profondità Fred? Era paura o rispetto reverenziale l'atteggiamento del cane che lo aveva affrontato senza toccarlo?
Riflettendo sulle parole spese da Pema sul cugino di montagna, Bernini si affrettò a cancellare tutte quelle ipotesi dandosi del matto. Lo capì ancor meglio quando sotto un sole splendente vide Iris, la figlia del vicino, avanzare in compagnia del cane. Chiamò la ragazza e lei si fece avanti sorridendo. Ermanno la conosceva bene, più di una volta si era recato nella sua grande stalla per acquistare latte e formaggio. Il cane era suo, un animale docile e fedele dalle dimensioni superbe. Il motivo per cui Bernini non l’aveva mai visto prima della notte in cui gli si era avvicinato nel buio era che Kaalo aveva appena fatto ritorno dall’alpeggio dove la famiglia di Iris teneva il bestiame. Dopo aver spiegato queste cose, Iris rivolse uno sguardo felice al suo interlocutore, la notte brava trascorsa col cugino doveva aver portato il suo umore molto in alto, come accade a tutte le ragazze del mondo dopo una notte d'amore. Bernini la salutò e Kaalo abbaiò scodinzolando.
Mentre padrona e cane si allontanavano, Ermanno ripensò agli avvenimenti della notte precedente. Ora quel ricordo gli sembrava confuso e l'idea che l’uomo fosse un essere selvatico gli parve ancor più ridicola. L’avvistamento era avvenuto al buio e da uno spioncino non più largo di una buca da lettere. Bernini trascorse la giornata a ridere di sé.
Tuttavia quando giunse la sera le sue fantasie ripresero il sopravvento, nessuno può immaginare quante ne faccia nascere una notte himalayana nel cervello di un occidentale. Cosa aveva visto veramente Bernini? Mentre il cielo passava dal colore celeste dei lapislazzuli al nero dell'universo stellato la curiosità accesa dagli ultimi eventi tornò a farsi viva in lui. L'esperto di antenne sentì che doveva fare qualcosa per dissolvere i dubbi una volta per tutte. Se voleva mettere la parola fine ai suoi interrogativi, non restava che costringere il cugino di montagna a mostrarsi da vicino.
Lo stratagemma che adottò consisteva in una cordicella di nylon nascosta tra la ghiaia del viottolo. Quando la notte scese nella valle facendo gemere i sassi come cuori abbandonati, Bernini la posizionò nel punto di passaggio che conosceva. In cerca della sua bella anche quella sera, Fred (Bernini si era ormai abituato a chiamarlo così) imboccò il sentiero che lo avrebbe portato all'appuntamento galante e appena si trovò dove era stata tesa la trappola incespicò nel laccio cadendo a terra. Accesa la pila che faceva sporgere dalla feritoia, Ermanno poté finalmente osservarlo.
Ciò che apparve ai suoi occhi fu uno spettacolo a dir poco sbalorditivo: disteso in mezzo al sentiero si trovava un adulto gigantesco dalle membra pelose. Il corpo privo di indumenti e il capo, che presentava una forma vagamente oblunga, erano interamente ricoperti da uno spesso vello grigio e non da pelli di animali come era parso a Ermanno in occasione del primo incontro. Sugli arti, anch'essi di dimensioni fuori dal comune, il colore del pelo mutava virando dal grigio scuro a una tinta bianco argentea. Ripensando alle parole di Pema, Bernini comprese a cosa si riferiva la donna quando aveva nominato il cugino di montagna. Nell'idioma di quel villaggio remoto tra le nevi asiatiche l'espressione stava a indicare uno yeti!
L'uomo dei boschi intanto era rimasto disteso con gli occhi semichiusi e la bocca aperta in una smorfia di stupore più che di dolore. Bernini si sporse in avanti per osservarlo meglio. Il capo dello yeti era dotato di orecchie piccole che ricordavano quelle degli orsi, mentre la grande mandibola protrusa e il naso camuso facevano assumere alla sua fisionomia un profilo scimmiesco.
Pur avendo individuato nello spioncino della porta gli occhi di Bernini che lo scrutavano, l'energumeno non si mosse. Fissò quegli occhi per un lungo istante che fu di vero terrore per Ermanno. Fred misurava due metri buoni e avrebbe potuto abbattere l'uscio con facilità per vendicarsi dell'aggressione di cui era stato oggetto. Il suo sguardo opaco sembrava provenire da un mondo lontano dove intelligenza e morale potevano contenere costrutti violenti e implacabili. Smentendo quei timori, Fred mostrò di possedere un carattere pacifico, così dopo essersi alzato da terra si limitò a prendere la torcia elettrica che sporgeva dalla feritoia, strappandola dalle mani di Ermanno. Venuto rapidamente a capo del suo uso, la diresse sul sentiero che lo conduceva da Iris e se ne andò verso il fienile dove la ragazza lo stava aspettando. Bernini capì che la sua pila era irrimediabilmente perduta.
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