LO YETI
Storia del primo contatto tra l'abominevole uomo delle nevi e l'homo sapiens
di
GIOVANNI ZANZANI
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CAPITOLO 6
Non era tanto remissivo Fred nei rapporti col vecchio Nirad. Il giorno che avvenne il fatto, Bernini dovette ammettere di essersi sbagliato sulla sua docilità. Allora scoprì che il colosso, se veniva provocato, sapeva rispondere duramente.
Quella mattina servo e padrone uscirono dalla stalla per effettuare l’aratura di un campicello non lontano dall'abitazione. Come i quadrupedi da traino della fattoria, lo yeti era stato aggiogato e imbrigliato coi finimenti. Lo spilungone doveva tirare un rudimentale aratro, composto da un bastone da scavo fissato a un timone, del quale Nirad si serviva per tracciare il letto seminativo degli ortaggi. Nonostante fosse piccolo, l’arnese agricolo da trainare non piaceva al cugino di montagna, e meno ancora gli piaceva la frusta con la quale il contadino dirigeva le operazioni. Si trattava di uno staffile vegetale lungo e sottile con cui Nirad lisciava la groppa del suo trattore umano. La leggerezza del vimine faceva sì che i colpi non ferissero la pelle, ma il suo profilo sottile ed elastico li rendeva assai molesti. Quando ne riceveva uno, Fred scartava e si muoveva a scatti, provocando irrefrenabili risate nel suo aguzzino. Vedendo la scena ripetersi spesso, Bernini si convinse che frustare Fred procurasse un gran piacere al vecchio Nirad. Non erano scudisciate potenti, ma il bestione le sentiva. Quando i colpi andavano a segno scuoteva le orecchie e digrignava i denti sbuffando forte.
Il brutto spettacolo si ripeteva ogni volta che Nirad decideva di servirsi dello yeti per arare la terra o per tirare il carro con cui portare i prodotti al mercato. Applicati giogo e redini, il conduttore si poneva dietro alla macchina e dava l'ordine di marcia insieme alla prima toccatina col pungolo. L'insolita bestia da tiro prendeva la rotta che le corregge di cuoio gli impartivano, ma se sbagliava direzione, oppure se Nirad aveva l'impressione che non avesse preso quella giusta, sulla sua schiena si abbattevano nuove frustate.
Quel giorno il cielo grigio e la nebbiolina che aleggiava sul terreno da arare avevano fatto rimpiangere al cugino di montagna il tepore della stalla alla quale era stato strappato. Il clima inclemente doveva aver messo di cattivo umore anche Nirad che infatti cominciò a sbraitare contro l'altro prima ancora di averlo legato all'aratro. Quando tutto fu pronto per iniziare il lavoro l'ominide era già fortemente irritato e Bernini notò che i suoi occhi si erano fatti cattivi. All'ordine gracchiante di Nirad di mettersi in movimento, Fred reagì con l'incrociare le braccia, scelta che gli fece piovere addosso una botta più forte del solito. La sferzata sibilò nell'aria fino allo schiocco finale che fece alzare uno sbuffo di polvere sulla schiena pelosa dell’uomo delle nevi, la cui sola reazione fu un'occhiata livida all'indirizzo del campagnolo. Incapace di comprenderne il significato, oltre che eccitato dall’aperta ribellione del proprio animale da tiro, Nirad gliene affibbiò una ancor più forte che invece di indurlo all'obbedienza ottenne di esasperalo del tutto. Con la lentezza del gigante arrabbiato, lo yeti si girò e mollò una manata sulla faccia del vecchio, facendolo ruzzolare per terra. Non contento di questo, si aprì i calzoni e, postosi sopra di lui, gli orinò sulla testa. Dopo essersi battuto il palmo della mano sul petto in un gesto che Bernini non gli aveva mai visto compiere, lo yeti pose fine a quella selvaggia esibizione di forza col fare a pezzi lo staffile e gettarlo sull'attonito villico che non osava muoversi dal fosso dove era finito.
Da dietro i vetri della sua finestra Bernini osservava la scena. Fu lui stesso a dare l'allarme correndo a chiamare Iris. Lo yeti intanto, dopo essersi sfilato l'imbragatura, si era accucciato non lontano e quando Iris lo raggiunse, Fred le sfregò il naso su un braccio come era solito fare per ottenere una mela. La ragazza lo spinse via, poi si fece aiutare da Bernini a trasportare Nirad fino alla casa dove l'uomo venne preso dai famigliari e immerso in una tinozza.
Quella sera, discorrendo del fatto davanti a un bicchiere di grappa di carote, il compagno di bevute Rashiv fece una considerazione seguita da un'aspra risata.
-Non si frustano i cugini di montagna. Asini e buoi si può farlo senza correre rischi, ma i cugini di montagna sono più orgogliosi e soprattutto hanno le mani!-
Contrariamente a ciò che Bernini si aspettava, Iris non parve particolarmente dispiaciuta per l'accaduto. La giovane confidò a Ermanno che quando un uomo compie atti ingiusti, come suo padre che aveva percosso il cugino di montagna, deve aspettarsi una punizione.
-Ora smetterà di usare la frusta.-
La semplice filosofia contenuta nell'affermazione fece sorridere il tecnico italiano che volle interrogare Fred. Ermanno compì diversi tentativi di ottenere da lui chiarimenti intorno alla reazione manifestata sul campo, ma lo yeti rimase impassibile senza servirsi degli occhi, né delle mani, per affermare o negare alcunché, anche quando gli furono mostrate due grosse mele. Bernini trasse il convincimento che non intendesse tornare sulla vicenda, oppure che la sua memoria fosse portata a rimuovere gli eventi spiacevoli. Tuttavia nell'udire il nome di Nirad lo yeti portò la mano alla barba e ne strappò un pelo, segno di una profonda contrarietà. Inoltre quando Ermanno rifece di fronte a lui il gesto della mano che colpisce il petto, Fred rise a bocca storta, mostrando di possedere piena consapevolezza delle proprie azioni, nonché un discreto senso dell'umorismo.
Quando se ne presentò l'occasione Bernini provò ad affrontare con Nirad l'argomento della gerarchia e delle punizioni corporali, ma il contadino preferì cambiare discorso. Dal giorno dell'incidente si guardò bene dall'aggiogare Fred. Questi fu promosso bracciante e gli venne assegnata una zappa che Iris gli insegnò a usare. Lo yeti apprese a servirsene così bene che nel giro di una settimana diserbò l'intero orto della famiglia, un appezzamento coltivato a peperoncini e cavoli tra filari di meli carichi di frutti. Nirad si tenne alla larga da lui senza intervenire nemmeno quando lo vide, negli intervalli di lavoro, cogliere qualche mela per mangiarsela.
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