Gli SburEditori sono lieti di presentere una nuova rubrica curata da

MARIO PINI

dedicata alla cultura popolare della antica Romandìola e ai personaggi fantastici che la abitano.

Mario Pini
Il profilo dell'autore.

Föl di Mario Pini - personaggi fantastici della Romandiola

Föl

è il termine dialettale per indicare favole e storie fantastiche.

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Entra nel magico mondo di fate, folletti, streghe ecc.


Bibliografia

Michele Placucci: "Usi e pregiudizj de' contadini della Romagna" - Forlì, 1881 (ristampa anastatica: Forni Editore - Bologna, 1984).

Giuseppe Gaspare Bagli: "Saggi di studi su i proverbi, gli usi, i pregiudizi e la poesia popolare in Romagna" - Forni Editore - Bologna, 1987 (ristampa anastatica dagli Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le Provincie di Romagna, 1884/85 - Serie III, volumi III e IV).

Nino Massaroli: "Paganesimo e umanesimo nella letteratura popolare romagnola" - Tipografia Sociale - Varese, 1920.

Paolo Toschi: "Romagna solatia" - Trevisini Editrice - Milano (non datato); "Romagna tradizionale. Usi, costumi, credenze e pregiudizi" ("Corpus delle tradizioni popolari romagnole", volume I) - Cappelli Editore - Bologna, 1963.

P.Toschi/A.Fabi: "Buonsangue romagnolo. Racconti di animali, scherzi, aneddoti, facezie" ("Corpus delle tradizioni popolari romagnole", volume II) - Cappelli Editore - Bologna, 1963; Fiabe e leggende romagnole" ("Corpus delle tradizioni popolari romagnole", volume III) - Cappelli Editore - Bologna, 1963.

Francesco Balilla Pratella: "Poesie, narrazioni e tradizioni popolari in Romagna" - Edizioni del Girasole - Ravenna, 1974 (due volumi).

Francesco Lanzoni: "Faenza. Durbecco e Lamone" - Tipografia Lega - Faenza, 1922.

Piero Zama: "Leggende romagnole" - Lega Editori - Faenza, 1934; "Romagna romantica" - Guidicini e Rosa Editori - Bologna, 1978.

Gianni Quondamatteo: "E' viaz. Racconti e fiabe di Romagna" - Galeati Editore - Imola, 1974; "Dizionario romagnolo ragionato" - Villa Verucchio, 1982/83 (due volumi).

Aldo Spallicci: "Proverbi romagnoli" - Martello Giunti Editore - Firenze, 1975.

Vittorio Tonelli: "Uomini e bestie in Romagna" - Galeati Editore - Imola, 1982; "Il diavolo e l'acqua santa in Romagna" - Galeati Editore - Imola, 1985.

Libero Ercolani: "Mamme e bambini nelle tradizioni popolari romagnole" - Edizioni del Girasole - Ravenna, 1985; "Vocabolario romagnolo-italiano" - Banca del Monte di Ravenna (non datato).

Eraldo Baldini: "Alle radici del folklore romagnolo" - Longo Editore - Ravenna, 1986; "Paura e maraviglia in Romagna" - Longo Editore - Ravenna, 1988.

Anselmo Calvetti: "Antichi miti in Romagna" - Maggioli Editore - Rimini, 1987; "Alle origini di miti, fiabe e leggende" - Longo Editore - Ravenna, 1995.

Piero Camporesi: "Le erbe del sogno e della sopravvivenza" (in: "Cultura popolare nell'Emilia-Romagna", Volume 5°) - Silvana Editrice d'Arte - Milano, 1981; "La condizione vegetale: uomini, erbe, bestie" (in: "Cultura popolare nell'Emilia-Romagna" Volume 5°) - Silvana Editrice d'Arte - Milano, 1981.

Giancorrado Barozzi: "Incubi folletti enzimi" (in: "Cultura popolare nell'Emilia-Romagna", Volume 5°) - Silvana Editrice d'Arte - Milano, 1981.

Erminio Caprotti: "Mostri, draghi e serpenti nell'opera di Ulisse Aldrovandi" - Mazzotta Editore - Milano, 1980.

Franco dell'Amore: "Diavolo e poveri diavoli" - Cesena, 1981.

Ada Trerè Ciani: "Quand ch'os j evdeva" - Fognano, 1983.

Luciano Bentini: "Le grotte della Romagna" (in: "Romagna vicende e protagonisti", volume 1) - Edizioni Edison - Bologna, 1986.

Pier Carpi: "Magia e segreti dell'Emilia-Romagna" - Borelli Editore - Modena, 1988.

Piero Malpezzi - "Brisighella: tradizioni, superstizioni, usanze" (in: "Quaderni del Museo del lavoro contadino di Brisighella", n.4, 1993.

E.Casali/S.Vassalli: "Fiabe romagnole e emiliane" - Mondadori Editore - Milano, 1986.

Spagnol / Zeppegno: "Guida ai misteri e segreti dell'Emiìlia-Romagna" - SugarCo Edizioni - Milano, 1987.

Umberto Cordier: "Guida ai draghi e mostri in Italia" - SugarCo Edizioni - Milano, 1986; "Dizionario dell'Italia misteriosa" - SugarCo Edizioni - Milano, 1991.

Alfredo Castelli: "L'enciclopedia dei misteri" - Arnoldo Mondadori Editore - Milano, 1993.

Spada / Tavaglione: "Il piccolo popolo" - Armenia Editore - Milano, 1983.

Dario Spada: "Gnomi, fate, folletti e altri esseri fatati in Italia" - SugarCo Ed. - Milano, 1989; "Guida ai fantasmi d'Italia" - Gruppo Editoriale Armenia - Milano, 2000.

Massimo Centini: "L'uomo selvatico" - Mondadori Editore - Milano, 1989.

Serena Foglia: "Streghe" - Rizzoli Ed. - Milano, 1989.

Oscar Guidi: "Magia e folletti in Garfagnana" - Maria Pacini Fazzi Editore - Lucca, 1991.

Brunamaria Dal Lago: "Il sogno della ragione. Unicorni, ippogrifi, basilischi, mostri e sirene" - Mondadori Editore - Milano, 1991.

Giovanni Boccaccio: "Il Decamerone" (V giornata, VIII novella).

Andrea Da Barberino: "Guerino detto il Meschino" - A.Bairon Editore - Milano, 1927.

Leandro Mascanzoni: "La descriptio romandiole del Cardinale Anglic" - La Fotocromo - Bologna (non datato).

G.P.Ghislieri: "Descrizione della Romagna" - Ghigi Editore - Rimini, 1990.

Vladimir Jakovlevic Propp: "Le radici storiche dei racconti di fate" - Boringhieri Editore - Torino, 1985; "Morfologia della fiaba" - Newton Compton Editori - Roma, 1992.

James George Frazer: "Il ramo d'oro" - Newton Compton Editori - Roma, 1992.

Antonio Morri: "Vocabolario romagnolo-italiano" - Katia Editrice, 1990 (ristampa anastatica).

Umberto Foschi: "Vocabolari romagnoli editi e inediti" - Lega Editori - Faenza, 1970.

AA.VV.: "Italia misteriosa" - Edipem - Novara, 1984; "Mal di luna" - Newton Compton Editori - Roma, 1981.


Articoli e saggi su periodici

Giuseppe Nanni: "Al malegni" - Il Plaustro - n.25, 1912.

Nino Massaroli: "Costumanze nostre. La Vecia" - La Piê - n.4, 1920; "Diavoli, diavolesse e diavolerie nella tradizione romagnola" (serie di 14 interventi) - La Piê - numeri vari, 1923, 1926, 1927, 1928.

Luciano De Nardis (pseudonimo di Livio Carloni): "I brisul d'la piê (E' Mazapegul)" - La Piê - n.2, 1924; "I brisul d'la piê (E' Régul)" - La Piê - n.4, 1924; "Romagna misteriosa (la Bëlza)" - La Piê - 1924; "Al grott dal fêld (Le grotte delle fate)" - La Piê - 1925; "Contributo all'indagine sulla Balza" - La Piê - 1925; "Streghe e scongiuri nella tradizione popolare" - La Piê - n.1, 1926; "Come si riconoscono le streghe" - La Piê - n.9/10, 1926; "L'ombra accanto al tesoro" - La Piê - n.1, 1927; "La manifestazione amatoria d'e'mazapegul" - La Piê - n.3, 1927; "Viaggio nel palazzo dei folletti" - La Piê - n.4, 1927; "La nascita del Basilisco" - La Piê - n.12, 1927; "Varianti alla tradizione popolare del Mazapegul" - La Piê - n.9/10, 1928; "La béssa latôna" - La Piê - n.11/12, 1928; "La fiamma errante" - La Piê - n.11/12, 1929.

Francesco Balilla Pratella: "Passeggiate di Romagna. I paesi di Alfredo Oriani" - La Piê - vari numeri, 1925.

A.Della Rosa: "La chiesetta del drago nella parrocchia di S.Martino Monte l'Abate" - La Piê - 1954.

Aldo Spallicci: "Voci dalle rocche medioevali di Romagna" - La Piê - n.7/8, 1958.

Arnaldo Savioni: "E' Rêgan" - La Piê - n.5, 1967.

Edmondo Ferretti: "A proposito di Regan" - La Piê - 1968.

Cino Pedrelli: "La tradizione del mazzapégolo a Madonna del Lago nel bertinorese" - Studi romagnoli - Volume XXV, 1974.

Anselmo Calvetti: "La bisciabova" - Studi romagnoli - Volume XXV, 1974; "La leggenda del cacciatore selvaggio" - Bollettino CC.I.AA. n.4, 1974.

Paolo Graziani: "I misteri di Don Tonino","La villa della paura","Storie di spiriti burloni" - Qui - n.11, 25/3/1993.

Carlo Lucarelli - "Non aprite quelle porte…","Notti di diavoli e streghe" - Qui - n.41, 4/11/1993.


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Ultima di copertina



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La mi föla la n'è piò longa
chi chi 'n vö i gn'arazzonga
par un panett e 'na sardella
a v'in dirò ona dal piò belli
par un panett e un pö da bé
a v'in dirò ona da què a sdè


La mia favola non è più lunga
chi vuole gliene aggiunga
per un panetto e una sardella
ve ne dirò una anche più bella
per un panetto e un po' da bere
ve ne dirò una da qui a sedere.

Questa è una delle strofe tradizionalmente utilizzate dai
fulèster (intrattenitori che raccontavano storie fantastiche),
a chiusura di una föla (favola).

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Appendice: gli gnomi


Forse, in qualche modo, magari al seguito di qualche turista tedesco che, dalle zone balneari, si recava verso l'interno per una gita, una colonia di gnomi ha trovato, nell' Appennino romagnolo, un buon posto dove vivere. Recentemente, infatti, si registrano varie segnalazioni della presenza di gnomi, nei boschi di Bagno di Romagna. Come al solito, non tutti riescono o possono vederli, né tutte le testimonianze sono attendibili, ma ce ne sono sempre alcune al di sopra di ogni sospetto, per questa ragione, un censimento come questo, deve prenderne atto e darne conto. Dirò quindi due o tre cose che so di loro, tanto perché non siate colti alla sprovvista e non facciate cose sconsiderate, se vi trovaste ad imbattervi in uno di loro (naturalmente, nell'eventualità, le vostre segnalazioni saranno gradite).
Sembra accertata l'origine scandinava degli gnomi, con una successiva diffusione che attualmente va dalla costa irlandese alla Siberia, in tutti gli stati dell'Europa del nord e centrale, con pochi insediamenti certi anche in zone più a sud. La loro presenza in Italia è considerata scarsa e limitata alle zone alpine, ma ne era già stata considerata una possibile presenza anche nei territori appenninici.
Esistono descrizioni, più o meno attendibili, ma puntigliose degli gnomi, delle quali daremo conto di seguito. Sono alti circa quindici centimetri, cappello escluso. La loro "divisa" abituale, è costituita da un paio di calzoni quasi sempre di colore verde o marrone (pare sorretti da bretelle), una tunichetta per lo più di colore blu ed una larga cinta di cuoio in vita, alla quale tengono appesa una specie di borsello che contiene vari attrezzi ed utensili d'uso quotidiano. Le calzature, sono costituite da un paio di gambaletti di feltro chiaro, scarpe di corteccia di betulla o zoccoli in legno, a seconda del tipo di territorio dove vivono e delle stagioni. Le femmine, di norma, portano una lunga sottana di colore bruno, grigio o kaki ed una camicetta sblusata più chiara, spesso ricamata o decorata come il fazzoletto che portano sulla testa, sotto il cappello, dopo una certa età. Completano il vestiario abitudinale, un alto cappello conico appuntito di feltro, di colore rosso per i maschi, bruno o grigio per le femmine. Pare, ma non è stato accertato, che il cappello abbia il potere di renderli invisibili. Gli gnomi maschi portano lunghe barbe bianche e baffi, ma pare che, dopo una certa età, qualche segno di barba, compaia anche sul volto delle femmine. Il loro peso, in età adulta, dovrebbe variare fra i 270 ed i 300 grammi. A proposito di età, bisogna dire che sono particolarmente longevi, vivono più di 400 anni, ma non sono immortali; le femmine, possono procreare solo una volta nella loro vita (di norma, hanno un parto gemellare).
Evidentemente derivante dalle loro origini, è il colore chiaro dei capelli (che diventa assai precocemente bianco), le femmine in giovane età, portano lunghe trecce; gli occhi sono altrettanto chiari, così come la carnagione, ma le guance e la punta del naso, assumono un colore rossastro acceso. I muscoli sono molto potenti (pare sia sette volte più forte di un uomo), possiede una velocità sorprendente su qualsiasi terreno. I loro sensi (vista, udito, odorato, gusto e tatto) sono sviluppatissimi ed, a quanto pare, sono in grado di articolare le orecchie per dirigerle in varie direzioni di ascolto. Sono abilissimi medici (anche chirurghi), in grado di utilizzare ogni tipo di vegetale a scopo curativo. Sono amici degli animali, coi quali vivono in clima di reciproca collaborazione, talvolta, ad esempio, si servono di loro per il trasporto, in cambio di qualche abituale servizio medico (anche a domicilio). Gli gnomi sono tipetti allegri e non si privano dei piccoli piaceri della vita, ma non esagerano quasi mai. Amano il buon cibo (anche se sono rigorosamente vegetariani), sanno prepararsi vari tipi di bevande (senza escludere qualche bella bevuta, anche leggermente alcolica, soprattutto in occasione delle frequenti feste, nel corso delle quali, ballano, suonano e cantano con piacere), amano farsi una bella fumatina di pipa giornaliera ed il sesso…abbiamo già detto che hanno una gran forza e capacità di resistenza, non vorremmo aggiungere altro per rispetto della privacy, se non che sono attivi fino a tardissima età.
Gli gnomi dei boschi, che dovrebbero essere quelli riscontrabili nel nostro territorio, vivono in case monofamiliari, dotate di diversi vani (cucine, soggiorni, bagni, camere da letto, depositi, ecc.), che si costruiscono poco sotto il livello del terreno, alla base degli alberi. Sono abili falegnami ed intagliatori, perciò sanno costruirsi ambienti molto confortevoli e capaci di soddisfare ogni tipo di esigenza quotidiana. Gli gnomi possiedono una grandissima intelligenza e solida esperienza riguardo i sistemi per superare le difficoltà quotidiane legate ad un tipo di vita in simbiosi con la natura. Sono abili agricoltori e traggono tutto quanto possa servire loro a condurre una serena esistenza, dall'ambiente che li circonda, rispettandolo profondamente.
Si sposano e pare che compiano anche un viaggio di nozze nel corso del quale si recano in visita al re degli gnomi che vuole conoscere di persona ogni suo suddito. In seguito, formano una famiglia con la quale conducono un menage familiare, a quanto pare, non dissimile dal nostro, ma molto più sereno e naturale.

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…e i Santi


Se il popolo ebbe poco rispetto per il Diavolo, stesso trattamento ricevettero i Santi, perché, all'antico abitante della Romandìola, non facevano paura, né il Diavolo, né l'acqua santa.

Il più tartassato fu S.Pietro, descritto come un semplicione, "duro di comprendonio", con una gran zucca pelata; sempre in giro per le campagne insieme a Gesù. Nelle loro peregrinazioni, essi trovavano alloggio qua e là, come racconta la storiella imolese che segue.

Il Signore e S.Pietro, nel loro peregrinare, chiesero alloggio ad una donna che rispose di non aver posto. Proseguendo, chiesero alloggio in un'altra casa, la padrona, preparò un letto pulito e fece loro grande accoglienza. Al mattino seguente, il Signore, accomiatandosi, disse alla donna: "E prem lavor ch'a farì, uv riuscirà grand" (il primo lavoro che farete, vi riuscirà grande). Quella donna, come era solita fare al mattino, lavorò la tela e quando andò a stenderla, non finiva più e riempì tutta la siepe e il prato. L'altra donna, vedendo la scena, si pentì di non aver dato alloggio ai due e pensò che, se fossero ricapitati, li avrebbe alloggiati come si deve. Qualche tempo dopo, ricapitarono là e la donna fece come si era ripromessa. Al mattino seguente, il Signore disse a questa, quel che aveva detto alla sua vicina qualche tempo prima. La donna, prima di apprestarsi al lavoro mattutino, andò a pisciare e s'in l'ess tolta vi di là, la srebb ancora drì a pissè (se non l'avessero tolta via di là, sarebbe ancora dietro a pisciare).

S.Pietro, era continuamente canzonato, perfino dai bambini, che lo seguivano con i loro coretti: "Tusot, tusot / chi t'ha tusè? / tu pé, tu mè / a caval d'un frè / cun è furcon / da la bughé!" (rapato, rapato / chi ti ha tosato? / tuo padre, tua madre / a cavallo di un frate / con il forcone / del bucato!); oppure: "Tiston manèla / l'aveva una pussion / us la zughè a spanèla / uj la vinzè Mingon!" (zuccone manèla / avevea un podere / se lo giocò a spannella / glielo vinse Mingone!). Come al Diavolo fu assegnata, dal popolo, una moglie, a Piron (o Pirunzé, come è chiamato S.Pietro nelle novelle popolari), fu appioppata una madre secca, piccola, brontolona, avara e bisbetica, per giunta, con fama di essere una strega. S.Pietro, era anche famoso per la sua golosità di nespole, cosicchè, un giorno, per lo sforzo di salire su un nespolo, gli sfuggì una "tromba", S.Paolo, che era sotto, esclamò: "Nespula Sampir!" (Nespola San Pietro!), per questo, ancor oggi, in Romandìola, si usa sottolineare i peti "da sforzo", con la stessa esclamazione.
Gli altri apostoli, facevano a gara per fare scherzi di ogni genere a S.Pietro, il più feroce era S.Paolo che, quando passava il segno, prendeva certi ceffoni da rincoglionire, allora S.Giovanni correva a separarli.
Il più amato e rispettato degli apostoli, era S.Giovanni, forse tanta ammirazione popolare, gli derivò anche dall'aver salvato (come già visto), le fate, dall'estinzione.
S.Antonio di Padova, nella tradizione popolare, diventa un mago e indovino, che gira il mondo compiendo prodigi, una vecchia filastrocca imolese dice: "S.Antonio giocondo / che girava tutto il mondo / tutto il mondo ha camminato / S.Antonio illuminato".
Il suo omonimo, chiamato in Romandìola: "S.Antonio del porco", era considerato protettore degli animali, ma veniva anche "utilizzato" come "procacciatore di mariti" (per non dire di peggio), dalle giovani romagnole. I bambini, invece, lo invocavano così: "S.Antoni dal campanein / in canteina agn'è piò vein / 'nt'e tasel an gn'è piò legna / S.Antoni com faregna?" (S.Antonio dal campanellino / in cantina non c'è più vino / nel tasel non c'è più legna / S.Antonio come faremo?).
S.Vicinio, considerato il primo vescovo di Sarsina, secondo la tradizione, in origine, era un eremita. La stessa tradizione, attribuisce alla catena del santo (una specie di collare al quale, l'eremita, teneva appesa una grossa pietra per fare penitenza), il potere di esorcizzare gli indemoniati.
A S.Valentino, nel territorio di Bagno di Romagna, si attribuiva la capacità di comandare il vento (che gonfiava in maniera particolare quando, un uomo di chiesa, si toglieva la vita).
Altro santo caro ai romagnoli è Martinel (S.Martino), protettore delle fanciulle indifese; una cantilena diceva: "Martinel, Martinel / un's'fa un bugadel / t'a n'i metta é tu mantell" (Martinello, Martinello / non si fa un bucatello / che non ci metta il tuo mantello).
Ma non ci si accontentava di irridere i santi, c'era perfino chi riteneva si potesse chiedere, al santo del quale si era devoti, la cosiddetta: "grazia alla rovescia". Questa consisteva nel richiedere intercessione, onde portare disgrazie o malattie alla persona presa di mira. Il rito che ne derivava, consisteva nell'accendere, di fronte all'immagine del santo, un cero posto orizzontalmente, o capovolto.
Ma come biasimare chi, per troppo tempo, oltre al potere spirituale della Chiesa, assaggiò anche il bastone di quello temporale? In quel tempo di indegni rappresentanti terreni, fu garantito il timor di Dio, più che l'amore ed il popolo si sfogò coi Santi; ma per un Santo, per un unico Santo, mostrò sempre autentico amore e viva venerazione: il rosso Sangiovese, derresto, a Conselice, il primo giorno di Quaresima, si usa festeggiare S.Grugnone, considerato il patrono dei beoni e dei barboni.

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E' Gêval

(il Diavolo)


L'avvento del cristianesimo si portò appresso anche il Diavolo, ma Berlicche, in Romandìola, non fu mai potente signore delle tenebre, tutt'al più, fu patetico "nemico". Sempre gabbato, zimbello di donne, santi e villani: un povero diavolo eternamente vinto. Non valevano a nulla le sue trasformazioni, veniva sempre scoperto e gabbato, infatti, bastava pronunciare la fatidica frase: "se t'cé e' Giéval, fa' e' fogh" (se sei il Diavolo, fa il fuoco), per farlo sparire fra fiamme e puzza di zolfo.
Colmo dell'irrisione, gli fu appioppata anche una moglie, di nome Proserpina ed egli, approfittando delle distrazioni di Domineddio, se la portava in giro per il cielo su di un carro fiammeggiante, trainato da orribili mostri alati, Ancora oggi, infatti, quando in Romandìola si sente un tuono a ciel sereno, si usa dire che è il Diavolo che "scarrozza" la moglie.
La letteratura fiorita attorno alla figura del Diavolo, è comune a varie regioni d'Italia ed è, perciò, estremamente difficoltoso rintracciare qualcosa di peculiare della Romandìola, al riguardo.
E' bech (il caprone), era anche qui, la sembianza che prediligeva assumere Berlicche; pare infatti che, ben difficilmente, egli rinunciasse alle corna, in qualsiasi suo travestimento, anche quando, sotto forma di bel giovane cercava di circuire le ragazzotte, sotto il cappello, nascondeva le immancabili appendici. Ma, nemmeno col le donne della Romandìola, riusciva mai a spuntarla; d'altronde è risaputo che: "la dòna, la ne sa ona piò de Gêval" (la donna ne sa una più del Diavolo). Sotto forma di agnellino dal pelo nero, sperduto, amava farsi trovare da avidi contadini, per poi sparire tra fuochi, risa ed odore di zolfo. Nelle sembianze di un cane, anch'esso nero, a volte senza testa, amava scorrazzare, nottetempo, per strade buie e campagne, terrorizzando chiunque incontrasse. A Selvapiana, "faceva l'asino", digrignando i denti rossi. A S.Martino scalpitava, di notte, in un'aia fangosa, senza lasciare tracce. Appariva sotto forma di cavallo che sprigionava scintille, alla Bandita di Monteriolo. A Pontemessa, prendeva il volo come un ippogrifo. A Casteldelci, era una chioccia fra i pulcini; un gallo canterino, nel bosco di Pagno. Altrove era una scrofa con dieci maialini, o un lupo; nessun tipo di trasformazione pare fosse preclusa, a lui ed ai suoi Diavoli.
Era poi proverbiale per laboriosità: "Quend e' Diévli u fa par sé, u bassa al corni e u beda lé" (quando il Diavolo lavora per se stesso, abbassa le corna e pensa solo a lavorare). Si sa, ad esempio, che qui come praticamente ovunque, fu grande costruttore di ponti, ma queste sue fatiche, erano sempre ricompensate con un inganno; come nella leggenda del ponte di Rimini, la cui costruzione non riusciva mai ad avere termine. Gli abitanti si rivolsero a S.Giuliano e questi, che aveva riconosciuto nei ritardi l'opera del Diavolo, chiese a Berlicche stesso di costruire il ponte. Il Diavolo acconsentì a patto che, l'anima del primo che vi fosse transitato, fosse stata sua. Una volta terminati i lavori, S.Giuliano, visto un cane nelle vicinanze, fece rotolare una pagnotta lungo il ponte ed il cane, per afferrarla, lo attraversò (alcune versioni riportano che vi fece rotolare una forma di formaggio, il cui interno molle, era detto "anima"). Resosi conto che, il prezzo della sua fatica sarebbe stata l'anima di un cane, Berlicche s'infuriò e prese a calci la sua opera, sulla quale, ancora si riconoscono le impronte dei suoi zoccoli.
Altrettanto proverbiale, era la sua fama di ballerino, come si diceva un tempo: "E' bal l'è de' Dièval" (il ballo è del Diavolo). Il suo obiettivo, pare fosse quello di spogliare, durante le orge danzanti, qualche donna; in questo modo, lui ed i suoi Diavoli, avrebbero potuto danzare, ogni notte, per l'eternità, nello stesso luogo, quelli che venivano chiamati: i "balli angelici" (così chiamati, forse perché, la tradizione voleva che i ballerini fossero "nudi come angeli"). Si favoleggia che, alcuni di tali festini, si svolgessero al castello di S.Martino ed in una casa isolata di Corneto. A Maiolo, presso S.Leo, si udivano gli schiamazzi di un "ballo angelico" che fu interrotto da una gigantesca frana che avrebbe travolto tutto, eccezzion fatta per il suonatore di fisarmonica, rimasto illeso.
Un fisarmonicista è, appunto, il protagonista di una föla diffusa in Romandìola. Questi, rispondendo ad un amico che lo invitava a suonare ad una festa in una casa lontana, disse: "A patto di suonare, andrei anche a casa del Diavolo!". Mentre, di buio, camminava verso la casa della festa, accompagnandosi col suono della fisarmonica, gli apparve un gomitolo nero danzante, che lo precedeva, scomparendo ad ogni edicola e ricomparendo dopo averla superata. Pur terrorizzato, memore della passione del Diavolo per la danza, continuò a suonare temendo di peggiorare la situazione e non smise di farlo, finchè non giunse presso la casa della festa. Qui, dopo un'ultima piroetta, quel Diavolo di un gomitolo sparì, lasciandolo più morto che vivo dallo spavento.

Diavolo
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E' Pasadör (il passatore)

Pasadör, era chiamato colui che traghettava chi volesse passare da una sponda all'altra di un fiume e non poteva essere dato soprannome più appropriato, a Stefano Pelloni: il brigante più sanguinario della Romandìola (che tanti ne "traghettò" all'altro mondo). La "beatificazione" popolare postuma del Passatore che, solo un poeta quale era Giovanni Pascoli, poteva definire "Passator cortese", finì per rendere cortese, anche il suo fantasma. Infatti, quando le strade di notte, erano ancora buie, silenziose e poco frequentate, non era raro che, questo fantasma, accompagnasse per un lungo tratto, il viandante. Appariva all'improvviso come un'ombra, dal fosso, avvolto nella "capparella", con il fedele "schioppo" in spalla, accompagnava silenziosamente il malcapitato pieno di paura, accomiatandosene, poi, perfino con un cenno di saluto, all'apparire delle prime luci del prossimo paese, scomparendo, così come era apparso. Tradizione vuole che, il suo fantasma, appaia nei luoghi ove, con la sua banda, aveva commesso omicidi e massacri in vita, come presso una fontana d'acqua sorgiva chiamata la pôcca (la poca), a Castelbolognese. Tale fontana, era così chiamata, per la sua scarsa portata d'acqua, il che costringeva l'amministrazione locale, a mantenervi una guardiana, che ne bloccasse il flusso nelle ore notturne, a questa, pare sia costata la vita, lo spavento per l'apparizione del fantasma del Passatore, in questo caso, evidentemente, assai poco cortese.

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Caterina Sforza

Caterina Sforza, che la tradizione popolare trasformò in una specie di figura diabolica, apparirebbe sotto forma di fantasma, sulle numerose rocche che le furono attribuite in tutta la Romagna: come sulla rocca di Dozza, o alla finestra della torre più alta della rocca di Monte Battaglia. Nella rocca di Riolo-Terme, invece, vagano gli spiriti inquieti dei suoi amanti ivi fatti trucidare (dopo l'uso). Narra una leggenda che fu lei stessa a costruire, in una sola notte (con l'aiuto del Diavolo), il suo palazzo di Imola (che il Demonio cementò con chiara d'uovo, al posto della calce). Anche per le stanze di questo palazzo, dove sarebbe nascosto un tesoro, continua a vagare il fantasma di Caterina, con un lume in mano.

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