Salman Rushdie e l'inaspettato responso.
A proposito di storie inspiegabili, qualcuno racconta di navi salpate a maggio e giunte al porto di arrivo nel gennaio dello stesso anno, quattro mesi prima di essere partite, ma il mare è così pieno di incerti - nebbie, correnti, magnetismi mutevoli - che risulta difficile rimanere impressionati da un simile mistero. Si sente parlare di uomini e donne visti per strada assai dopo la loro morte, ma come è pensabile che esista una regola negli incontri casuali? E che dire di quei sogni che annunciano l’uscita dei numeri nelle lotterie, se non che la premonizione onirica è talmente scontata da non stupire nemmeno i bambini?
Ciò che mi accadde nel 1987 invece rappresenta un tale capovolgimento della realtà da sorprendermi ancora. Quel che mi capitò fu di trovare la risposta nove anni prima di avere udito la domanda. Nel 1987 infatti ascoltai la conclusione di un ragionamento che avrei sentito formulare nel 1996. Quell’episodio ha rafforzato in me il sospetto che non sempre le storie comincino dove comincia il libro.
Il 21 agosto 1987 mi trovavo a Lisbona in rua Garret davanti alla libreria Sà da Costa e stringevo tra le mani la prima edizione di “Le cinéma selon Hitchcock”, l’intervista di Francois Truffaut al celebre regista, stampata nel 67’, un regalino che avevo voluto fare a me stesso per fissare in un oggetto concreto la grande gioia di esplorare Lisbona per la prima volta.
Me ne stavo felice a rimirare il volumetto appena acquistato quando la mia attenzione venne attratta da un capannello di persone raccolto di fronte alla libreria. Sul marciapiede, un signore si era sentito male. Disteso per terra, l’uomo respirava a fatica mentre due nordiche turiste sessantenni tentavano di rianimarlo con salviette umide e robusti schiaffetti. Mi avvicinai all’assembramento per rendermi conto di ciò che accadeva e, giacché sono un medico, per dare una mano. Fu mentre prendevo il polso allo sfortunato passante che vidi le sue labbra sillabare qualche parola. Incuriosito, gli avvicinai l’orecchio alla bocca: in una lingua a me sconosciuta, l’uomo ripeteva in continuazione la stessa frase. La litania che andava recitando pareva essere una cosa molto importante, egli infatti vi si accaniva con una tenacia che gli causava un visibile sforzo. Da ultimo pronunciò la frase in inglese.
-...Ibn ha la soluzione dell’enigma: la soluzione è che non c’è enigma. Dall’uno nasce l’altra perchè sono la stessa cosa. Ditelo al mio amico Salman. Dite a Salman Rushdie che l’enigma non c’è, non c’è mai stato...-
Quando fu certo che qualcuno avesse compreso ciò che andava dicendo, socchiuse gli occhi e si lasciò andare alle cure dei soccorritori che, se era vero ciò che le mie dita avevano sentito sull’arteria del suo polso, non sarebbero servite a molto. L’intervento di un’ambulanza pose fine all’avvenimento. Mentre gli infermieri caricavano il sofferente sulla barella, il medico che li accompagnava mi si avvicinò.
-E' un amico del signor George Dobson? - mi chiese questi leggendo il nome sui documenti che gli infermieri avevano estratto dalle tasche dell'uomo soccorso. Dopo avergli spiegato che non lo conoscevo, salutai e mi unii ai presenti che avevano ripreso a sciamare per Rua Garret. Raggiunta la Brasileira, sedetti a uno dei tavolini del celebre caffè a riflettere sulla precarietà della condizione umana. Le parole pronunciate da Dobson - la strana invocazione a Salman Rushdie - non avevano molto senso, ma chi sta male farnetica, no?
L'episodio dormiva tranquillamente nella mia memoria insieme a tanti altri ricordi quando nel novembre 1996 a Kathmandu qualcosa lo risvegliò.
Non conoscevo quel tipo con gli occhiali, non l’avevo mai visto prima di allora e non avevo nessun motivo di credere che egli non fosse, come era stato annunciato, un giornalista indiano. D’altronde non erano numerosi i miei contatti a Kathmandu, quando vi giunsi nel novembre 1996, ed essi non crebbero molto nella prima settimana di lavoro. Aida, la pediatra tedesca che dirigeva il piccolo ospedale, era il mio solo aggancio in Nepal e Akim, il giovane con cui ero arrivato alla festa, semplicemente l’autista dalla fondazione cui la clinica apparteneva. Quella sera, all'incontro preparato dalla dottoressa, conoscevo loro due e pochi altri membri dell'organizzazione.
Aida era una persona dotata di grande empatia e la clinica uno dei luoghi di incontro del volontariato internazionale nella capitale del paese himalayano. A Milano, dove la dottoressa mi era stata presentata, il suo entusiasmo mi aveva trascinato ad aderire al progetto di intervento in Asia e la mia presenza a Kathmandu era il seguito di quella promessa.
La cena stava per iniziare quando l’arrivo di nuovi amici impose un cambiamento di programma. La sala da pranzo della residenza di Aida non bastava a contenere tutti, così si decise di cenare all’aperto. Con un clima tanto dolce da far pensare a un maggio toscano, la compagnia si sparse in un’oscurità odorosa di gelsomino, punteggiata dalle fiammelle di piccole candele.
La serata scorreva piacevolmente e la conversazione si svolgeva in modo quasi surreale tra i lumi del giardino. Avendo la padrona di casa fatto servire prima del pollo e poi delle uova, qualcuno chiese se la sequenza fosse casuale.
-Niente affatto, rispose ridendo Aida. Per me non vi è alcun dubbio che prima dell’uovo venga la gallina, non siete dello stesso parere?-
Prese il via un garbato contraddittorio. La sfida era stuzzicante.
-Non sono d'accordo con te, Aida. Io penso che prima sia venuto l’uovo.-
A parlare era stato Richard, un biologo svizzero dagli occhi azzurri e dalla stazza di un grillo. La sua mano sinistra fece dondolare un whisky on the rocks che produsse un tintinnio nel bicchiere. Dall’inizio della serata non si era allontanato per un attimo dall’angolo dei drink e solo ora aveva deciso di dare segno di sé intervenendo nella discussione.
-L’uovo contiene il principio genetico della gallina, dunque l’idea stessa di gallina, e questo è un fatto innegabile.-
-E l’azione, dove la mettiamo?-
Anne, pediatra francese, attrasse su di sé lo sguardo dei commensali.
-E’ più che evidente che l’inizio di ogni cosa comporta la necessità di agire. Ecco la gallina primordiale che compie la prima azione della sua specie deponendo l’uovo. L’uovo invece quali azioni può compiere? E inoltre signori, chi lo cova l’uovo, se non ci sono galline?-
Un mormorio di approvazione accolse le conclusioni della francese. Quattro passi sulle lunghissime gambe la portarono di fronte al piccolo biologo che chinò il capo per dichiararsi sconfitto.
Malika, una studentessa egiziana giunta da pochi giorni, fece segno di voler dire la sua.
-Cari amici, anch’io mi iscrivo al partito di Anne e di Aida ed ora ve ne spiego il motivo. E’ la fragilità del guscio a far propendere il mio giudizio a favore della gallina. Mari turbolenti, deserti infuocati, sismi apocalittici, come avrebbe potuto resistere il debole uovo in un ambiente così ostile? Molto più facile immaginare la gallina, paleo-gallina beninteso, alle prese con le difficoltà delle ere preistoriche. Forse occorsero millenni per veder comparire il primo uovo.-
Appena Malika ebbe terminato la sua prolusione, l’australiano Michael Kaplan, che mi sedeva accanto sugli scalini della villa, si alzò scuotendo la folta capigliatura.
-Riflettiamo con calma, colleghi. Qui non si tratta di assegnare un premio al primo arrivato, si deve solo stabilire l’ordine cronologico nel quale i due soggetti comparvero sulla scena del nostro pianeta.-
Avevo visto Michael saltare giù dall’autobus di fronte alla clinica due giorni prima. Con quella chioma fluente mi era parso uno dei tanti globetrotter a spasso per il Nepal. Solo osservandolo all’opera in ospedale avevo capito che faceva parte del nostro gruppo. Aida lo aveva definito un gastroenterologo molto promettente.
-Chi può pensare che l’uovo venga per secondo, domandò Michael, non è forse esso il modello unicellulare per eccellenza? Nessun individuo multicellulare precede l’unicellulare nella storia delle specie.-
Il giovane patologo allargò le braccia e concluse il suo intervento con un'affermazione provocatoria.
-Solo uno sciocco può credere che la complessità venga prima della semplicità.-
-E io mi onoro di far parte della schiera degli sciocchi, caro professor australe.-
Era scesa in campo la matura neuropsichiatra Olivia Perez, messicana.
-Visto che i sostenitori dell’uovo non rinunciano all’uso di armi pesanti è giusto che anche noi che difendiamo la gallina sfoderiamo le nostre.-
L’autorevole studiosa del cervello guardò i presenti con fare accigliato.
-Per attribuire questo primato non ricorrerò ai principi della biologia, né all’argomento dell’azione, e nemmeno a considerazioni sulla forza. Sono convinta che l’elemento centrale della faccenda sia il pensiero. Avete capito benissimo, il pensiero della gallina. Immagino già le risatine di scherno riferite a una pollastra che si serve della propria mente per cambiare il mondo, ma un vergognoso pregiudizio maschile non mi impedirà di sostenere la giustezza del mio punto di vista. Pensiero significa calcolo e capacità di osservazione. Quando la gallinella si stancò della solitudine, intesa come osservazione di sé, concepì la necessità di un soggetto diverso da lei. Le riuscì quasi perfetto, molto migliore di quanto non fosse essa stessa. Non è la perfettibilità della specie il primo imperativo evoluzionistico? Ecco la limitata mente della gallina dei primordi formulare l’idea dell’uovo, così differente da lei e già così compiuto, ecco la sua creazione ed ecco l’amore e la cova diligente e appassionata.-
Olivia aveva terminato la propria esposizione quando albicocche candite e mandorle salate fecero la loro comparsa su ampi canestri. Gli interventi dei convitati si interruppero mentre tutti si approvvigionavano di frutta secca. Per qualche istante la compagnia tacque, poi il divertente contenzioso riprese per occupare ciò che restava della serata. I toni scherzosi coi quali si era sviluppato non avevano impedito l’utilizzo di argomenti seri, eppure la questione era ben lontana dall’apparire sviscerata. Ormai era chiaro che, a parte un maggior tifo delle donne per la gallina e degli uomini per l’uovo, nessuno aveva tirato fuori un coniglio dal cappello. La stanchezza faceva capolino con qualche sbadiglio nei capannelli dove a bassa voce si affrontavano le speculazioni dei più timidi. Restava nell’aria un senso di attesa delusa, di resa a un mistero non svelato, un sentimento di sconfitta addolcito solo dall’incombere del riposo e dei sogni. Fu allora che il giornalista indiano, che era rimasto in silenzio fino a quel momento, prese la parola.
-Signori medici, il dibattito è stato oltremodo interessante e anch’io vorrei aggiungere qualcosa prima che questa bella compagnia si disperda. Non avanzerò congetture riguardo alla primogenitura della quale si è discusso, io non ho competenze scientifiche paragonabili alle vostre, ma porterò una testimonianza attinente all'interrogativo. Esso è antico quanto il mondo e credo che nessuno sia mai stato in grado di fornire una risposta esaustiva. Ebbene, un tempo conoscevo un uomo che volle dedicare alla sua soluzione una parte della propria esistenza. Il suo nome era George Dobson, un inglese nato a Calcutta che mi capitò di avere come compagno di studi. L’occasione di questo dibattito mi consente di rendere omaggio alla sua intelligenza eccezionale oltreché all'amico scomparso che non fece passare un solo anno della nostra amicizia senza aggiornarmi sui risultati della sua ricerca.-
L’indiano con gli occhiali tacque mentre alcune donne servivano un distillato di riso in piccoli bicchieri. La luna quasi piena, superate le cime himalayane, illuminava l’ampia valle di Kathmandu.
-George manifestò fin dai tempi della scuola un vivo interessamento alla controversa faccenda. Giunto nell’età adulta la sua bizzarra passione lo spinse a collezionare libri, articoli di giornale o semplici scritti che si riferissero all'argomento. Divenuto molto ricco non rinunciò a esplorare le librerie antiquarie di mezzo mondo allo scopo di procurarsi opere riguardanti il celebre enigma, spesso imbattendosi in testi smarriti da secoli. Tra le tante cose che ricevetti da lui, alcune sono delle vere perle. Nell’ultima comunicazione che mi inviò da Lisbona dove si trovava, George mi rivelò di essere sulle tracce di una preziosa opera di Ibn Hazm De Cordoba. Tra le più di quattrocento attribuite al famoso narratore, avrebbe potuto trattarsi di quella, mai più ritrovata dopo la cacciata dei mussulmani dalla Spagna, dove l’arabo andaluso affrontava l’enigma dell’uovo e della gallina. La morte che colse George davanti alla libreria Sa da Costa nell’estate del 1987 non solo mi sottrasse l’amico, ma anche la consolazione di conoscere la risposta che, sono certo, egli aveva trovato nel testo del celebre scrittore arabo. Nella clinica dove venne ricoverato, quel tenace uomo di pensiero giunse senza vita. Ai familiari venne consegnata l'urna delle ceneri e nessuno fu mai in grado di conoscere la sorte dei suoi effetti personali, poche cose, tra cui certamente quel preziosissimo libro.-
L’indiano con gli occhiali concluse il proprio intervento con un sorriso faticoso che si spense nella lanugine brizzolata della sua barba.
Non era stata la luce lunare a far impallidire il mio volto al termine del racconto: io ero veramente sbiancato. Mentre la servitù distribuiva per la seconda volta il distillato di riso, mi allontanai dal gruppo in preda a un forte tremore, rifugiandomi nel folto del canneto che cingeva il giardino. Mi sedetti. Ciò che quell’improbabile giornalista aveva raccontato - per tutti gli altri null'altro di un interessante aneddoto - assumeva ai miei occhi un significato inimmaginabile. Lo stupore e l’emozione che le sue parole avevano prodotto dentro di me erano così forti da lasciarmi a lungo privo di sentimenti. Quando mi ripresi, la luna aveva superato le palme del giardino ed ora la sua vivida luce inondava il prato.
Il racconto dell'indiano aveva acceso nella mia mente il ricordo di Lisbona, livraria Sa da Costa, estate dell’ottantasette. L’uomo disteso sul marciapiede che sussurrava facendo ricorso alle ultime forze.
“...Ibn ha la soluzione dell’enigma: l’uovo e la gallina sono la stessa cosa. Dall’una nasce l’altra perchè sono la stessa cosa. Ditelo al mio amico Salman. Dite a Salman Rushdie che l’enigma non c’è, non c’è mai stato...”
Nonostante fossero trascorsi nove anni, le parole di George Dobson risuonavano nelle mie orecchie come se le udissi in quell'istante e da quel passato risolvevano in maniera decisiva il rompicapo. Ma nello stesso tempo svelavano l’identità del giornalista conoscitore dei classici arabi che sedeva accanto a noi nel giardino di Aida, Salman Rushdie, l’inavvicinabile scrittore dei “Versetti Satanici”, la personalità più protetta del ventesimo secolo. Chi se non Salman Rushdie poteva essere l'uomo che ci aveva parlato di George Dobson?
Tornai sui miei passi indeciso sul da fare. Svelare l’arcano avrebbe messo a repentaglio la sicurezza dello scrittore che tutto il fanatismo islamista voleva morto, tacere significava privarlo della gioia di ricevere l’ultimo messaggio dell’amico morente insieme alla risposta che dopo tanti anni di ricerche gli inviava, perché di quella si trattava, ora lo capivo con chiarezza. Una combinazione di eventi faceva sì che la frase mi rendesse testimone del suo terribile segreto. Sospinto dal disco lunare, il tempo trascorse senza che me ne accorgessi. La mia indecisione risolse in qualche modo il problema, quando raggiunsi di nuovo la compagnia il giornalista indiano se ne era andato.
Fratello Salman, ovunque tu sia, perdonami se quella sera non mi affrettai a rendere noto il messaggio di George Dobson. Ciò che mi trattenne fu la paura di mettere a rischio la tua vita. Lo faccio ora augurandomi che tu possa leggere queste pagine. Ora che le mie parole non ti espongono più al pericolo di essere riconosciuto, ti rivelo ciò che il tuo vecchio amico George scoprì sulle pagine di Ibn Hazm De Cordoba e che prima di morire cercò disperatamente di comunicarti: l’uovo e la gallina sono la stessa cosa!