IL REGOLATORE DELL'OROLOGIO
di
GIOVANNI ZANZANI
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Il buio, ecco la cosa che della galera Crespino temeva di più. Ed ora il buio lo avvolgeva completamente. Quanto tempo era trascorso da quando lo avevano arrestato? Un’ora? Un giorno? Un violento strattone era tutto ciò che aveva sentito, poi era volato giù dal letto con le cordicelle ai polsi. Una corsa in una carrozza chiusa per giungere al carcere dove era stato gettato in una cella completamente priva di luce. Rannicchiato in un angolo, era rimasto immobile, mentre solo i rumori che venivano dall’esterno segnavano lo scorrere del tempo: porte sbattute, cigolare di catenacci, ordini gridati in qualche parte della rocca. Perché di una rocca si trattava, l’aveva vista quando ce l’avevano fatto entrare. Nell’ampio cortile lastricato di ciottoli stava passando un gruppo di guardie, mentre i suoi carcerieri lo conducevano sotto un porticato.
-E’ lui, quello che cerchiamo?- aveva chiesto l’uomo da dietro il cancello.
Per tutta risposta uno dei suoi accompagnatori l’aveva guardato.
-Otto Rovelli, vero?-
Crespino aveva fatto segno di sì col capo.
Il verso di una papera proveniente attraverso pertugi invisibili dal fossato che circondava la costruzione lo distrasse e lo fece riavere un po’ dallo sconforto nel quale gli avvenimenti lo avevano precipitato. Non aveva dubbi sulla causa del suo arresto: la notizia dell’uccisione di Horatius Mayer doveva essere giunta alle orecchie della polizia dello Stato Pontificio. Lo avrebbero consegnato alle autorità svizzere? Crespino ci pensava e l’idea lo atterriva. Gli abitanti dei baliaggi italiani, come quello di Mendrisio nel quale era nato, non godevano di grande considerazione nei cantoni della confederazione elvetica e lui non si aspettava nessuna pietà da quei giudici. L’ucciso era un personaggio abbastanza noto a Ginevra e questo fatto, in aggiunta alla sua fuga, lo avrebbe condotto rapidamente davanti al carnefice. Il passo di un secondino e lo sferragliare delle chiavi interruppe i suoi tristi pensieri.
Percorsa una lunga scala a chiocciola, Crespino venne introdotto in una stanza molto ampia che si apriva sugli spalti del castello. La guardia lo condusse di fronte a un tavolo, assicurò le catene alla panca di pietra e uscì.
-Otto Rovelli, vero?-
Il prelato che gli aveva rivolto la domanda era un gesuita dallo sguardo tagliente. Solo lo zucchetto cardinalizio ne testimoniava il grado gerarchico, in contrasto col modesto abito nero da prete. Si vedeva che era un’autorità, il cardinal legato a latere, abituato a parlar poco e molto a essere ascoltato. Crespino annuì chinando il capo.
-Il bando che mi nomina è giunto fin qui?-
-Anzitutto, giovane, non mi sembra che tu sia nelle condizioni di fare domande. Poi, credi che per sapere cosa fanno le sue anime, il Santo Padre abbia bisogno delle grida dei tribunali svizzeri? Non cercare di ingannarmi, Rovelli. Sai bene che le faccende per le quali sei fuggito da Ginevra non ci interessano. Per di più Mayer, oltre che un noto pederasta, era anche un eretico, così è tutto da dimostrare che la sua uccisione sia stata un crimine...-
Crespino guardava il suo interlocutore senza capire.
-Scusate, eccellenza, per quale altro motivo sarei finito in carcere?-
-Così non sai perché ti trovi qui? Dimmi allora, chi è stato a conciare in quel modo l’orologio di San Giovanni?-
-Ma come, mi avete arrestato solo perché l'orologio va avanti?-
-Sentilo il ginevrino! Solo per quello, dice! Ti sembra una cosa da poco mandare all’aria l'ordine di un intera comunità?-
-Se ciò che vi sta a cuore è il funzionamento dell'orologio, vi giuro eccellenza che lo rimetterò subito a posto.-
-Troppo facile, giovane, e troppo comodo. I complici vogliamo, l’elenco dei tuoi complici. Nomi, cognomi e tutto il resto. Sei pronto a parlare? Se lo farai, sarà meglio per tutti.-
-Nessun complice, eccellenza, ho fatto tutto da me.-
-Rovelli, non costringermi a usare mezzi che non mi piacciono, sai cosa intendo, vero? Voi arruffapopolo siete baldanzosi, ma con gli strumenti opportuni vi si riduce facilmente alla ragione.-
-Quale arruffapopolo, eccellenza, io sono solo un orologiaio.-
-Si fa presto a dire orologiaio. Voi di Ginevra vi gingillate un po’ troppo con gli orologi. Non è per caso che l’hai imparato sui libri di Jean-Jacques Rousseau a regolare gli orologi?-
-E chi è questo Rousseau, aggiusta orologi anche lui?-
-Non esattamente. Credo piuttosto che li avrebbe voluti mandare a modo suo gli orologi, il vostro Jean-Jacques, e da quel che hai combinato si direbbe che abbiate frequentato la stessa scuola.-
-Vi giuro, eccellenza, che non l’ho mai sentito nominare.-
A quella risposta il prelato batté un pugno sul tavolo.
-Rovelli, tu vieni da Ginevra, ti fai affidare un orologio pubblico, sovverti le ore del giorno, fai ribellare i contadini, scateni una guerra tra due paesi e mi vuoi far credere di non aver mai sentito nominare Jean-Jacques Rousseau. I casi sono due, o sei un bugiardo o un insano di mente. Cominciamo dal principio: prova a spiegarmi perché hai modificato l’orologio di San Giovanni.-
-E’ una storia lunga, eccellenza.-
-Il tempo non ci manca, raccontamela.-
-Ecco, vedete, io credo di aver perso la testa, non so come dire…-
-Su questo non ci sono dubbi, ma prova a dirmene il motivo. Ci sarà stato un motivo...-
-L’ho fatto per una donna, eccellenza.-
-Oh questa è bella davvero! Adesso non si fanno più serenate? Non si mandano fiori? Adesso per galanteria si fa la rivoluzione? E chi è la prescelta?-
-Il nome mai! Mettetemi pure ai tormenti, ma il suo nome non l’avrete!-
-Me l’avevano detto che eri stupido, Rovelli, ma fino a questo punto non l’avrei mai pensato. E dire che non ci volevo credere che la causa di tutto fosse Clorinda Montanari. Per fortuna lei è stata meno reticente di te.-
-Clorinda non c’entra, ho fatto tutto da solo.-
-Questo lo dice anche lei, e dopo averti ascoltato lo credo anch’io, Rovelli. Se Dio vuole ti abbiamo individuato per tempo. Ancora qualche giorno e a San Giovanni ci sarebbero state le barricate.-
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