E' mazapêgul
(il mazzapegolo)
Il mazapégul è un esserino di pelo grigio, ha dimensioni tali da porlo tra le proporzioni di un gatto e quelle di uno scimmiotto; porta un berrettino di lana rossa e non ha altro vestito addosso. Va in giro di notte con passo leggero, balzando di mobile in mobile, raggiunge il letto nel quale riposa l'amata e le si posa sul ventre. Diventa, allora, pesante come il piombo e la stringe fin quasi a soffocarla ed ella, nel sonno, si dibatte tentando invano di divincolarsi; per questo suo genere di manifestazioni, il mazapégul, è anche detto: spìrit amuròs (spirito amoroso).
Questo folletto bizzarro, accecato dalla passione, diventa gelosissimo se la bella lo deride o lo rifiuta preferendogli l'amante o lo sposo e si trasforma, per lei, in vero e proprio incubo: la insulta con la sua vocina stridula, la mordicchia con i suoi denti aguzzi, la scuote e la graffia, la pizzica e la spettina, finché ella non si ridesta di soprassalto, tutta scarmigliata. Di giorno poi, invisibile, le nasconde oggetti, le scompiglia i lavori e gode nel sentirla urlare disperata. Se, viceversa, la bella si dimostra affettuosa e sottomessa, egli la ricambia con mille attenzioni: l'aiuta nei lavori domestici e le fa piccoli regali.
Vi sono diversi metodi per liberarsi di questo dispettoso esserino, ove sia indesiderato, il più efficace, pare sia quello di rubargli il berrettino e scaraventarlo nel pozzo, o in un orcio pieno d'acqua. Infatti, o per buona educazione, o per qualche altro suo motivo, prima di entrare in casa, il mazapégul, si toglie sempre il berrettino e lo depone sull'orlo del pozzo, accanto al bastoncino col quale, talvolta, si accompagna. Quando è privato del suo berrettino fatato, perde ogni potere e langue per intere giornate ripetendo penosamente, fino all'ossessione, il suo monotono lamento: "Dam indrì e' mi britìn! Dam indrì e' mi britìn! "(ridammi il mio berrettino). Pare però che, non sempre questo metodo funzioni, una föla, infatti, racconta di una ragazza che, senza avere compassione per i lamenti e le preghiere di un mazapégul al quale aveva carpito il berretto, non volle più renderglielo, così il folletto irritato, giurò di vendicarsi: una sera la ragazza andò al ballo e, nel bel mezzo delle danze, si ritrovò "nuda nata". Il metodo più semplice, ma sulla cui efficacia scommetterei ben poco, era quello di mostrarsi a cavalcioni di una finestra, mangiando pane e cacio. Altro sistema, che parrebbe più efficace, pare sia quello di mostrarsi al folletto nell'atto di soddisfare i propri bisogni corporali addentando, nel frattempo, un tozzo di pane e fingendo di cacciare, con l'altra mano, piccole bestiole immaginarie dai capelli spettinati. Pare che il nostro, schizzinoso e amante com'è, di tutto ciò che non sia men che lindo e pulito, non possa sopportare tale vista immonda, quindi, apparirà per un'ultima volta la notte seguente, imprecando qualcosa come: "Bröta troja vaca, la péssa, la màgna e la fa la caca!" (brutta scrofa vacca, piscia, mangia e fa la cacca) e se ne andrà via disgustato, per sempre. Fra gli altri sistemi per allontanare il mazapégul, che ci sono stati tramandati, c'è quello di lasciare appoggiato ai piedi del letto un bastone nodoso in segno di minaccia di botte; oppure quello di stendere un sacco attraverso le coltri del letto stesso, minacciando così di rinchiudervelo; oppure, ancora, abbandonando corde o lacci sul pavimento della camera, che lo indurrebbero ad allontanarsi, temendo di esservi legato. Altri sistemi altrettanto empirici, che riporto a solo titolo d'inventario, sarebbero: sia quello di lasciare feci sul pavimento della camera da letto, che quello di coricarsi con una gallina, o altro animale nel letto, in quanto, come già detto, il mazapégul fugge schifato luoghi e persone poco pulite. Su questi sistemi poco ortodossi, spesso indugiava compiaciuta la tradizione popolare, riferendo di ragazze che, pur di liberarsi dello spiritello amoroso, erano disposte a farsi trovare, nude nel letto e cosparse di feci; oppure a stendere di traverso al letto, corde lordate della stessa sostanza; o, ancora, a farsi "sorprendere" nell'atto di cibarsi nel porcile, col piatto calato nel trogolo dei maiali.
A questa categoria d'espedienti apparteneva anche quello semplice, ma, a quanto pare molto efficace, di sparare sul naso dello spiritello un peto (magari caricato a fagioli). Alcuni credono, inoltre, che lo spiritello (come la strega e, in genere, ogni appartenente al popolo fatato), sia costretto da qualche forza misteriosa, a contare ed a riordinare tutto ciò che trova in disordine, lungo il suo cammino; in forza di questa credenza, ritengono che, per allontanarlo, basti cospargere la soglia di casa, di vari piccoli semi mescolati, che lo costringerebbero ad affannosi riordini, tali da tenerlo impegnato fino all'alba. C'è un ultimo sistema curioso e complesso per affrancarsi dalla dispettosa presenza del folletto, che consisterebbe nel calpestare scalzi, una corda lunga sette braccia, annodata all'estremità (tenuta, in precedenza, all'aperto per tre notti), poi legata ai piedi del letto frequentato dal Mazapégul, recitando la seguente formula:
"Côrda d'canva fata ad nôv ligul / cun óna ciàpra e cun i chêv a spìgul / côrda par imbalzê e' caval d'e' re / cun e' pél négar e balzân da tre / par imbalzê e' cavron dl'anma danêda / ch'l'à la rôgna cun la schina plêda / pr'inpiadurê la bès-cia buvarèna / pr'andê in't'la vall a fê tri côv ad zléna / côrda d'canva pr'al campân dì mòrt / côrda pr'e cöl dla spêia scrêca fôrt / côrda d'canva pr'impichêr e lêdar / bôna par impichêr e mazapédar "
(corda di canapa fatta da nove matasse / con un cappio con le estremità spigolose / corda per imbrigliare il cavallo del re / col pelo nero e tre zampe segnate di bianco / per legare il caprone dall'anima dannata / che ha la rogna con la schiena pelata / per incappiare la bestia bovina / per andare nella valle a fare tre covoni di carice / corda di canapa per le campane a morto / corda per il collo della spia stringi forte / corda di canapa per impiccare il ladro / buona per impiccare il mazapegolo).
Non si pensi però, che con tanti sistemi a disposizione, sia facile liberarsi del nostro spiritello, spesso questi sistemi, come già visto, falliscono miseramente, né i sistemi tradizionali hanno miglior fortuna, come dimostra l'aneddoto che segue.
C'era una volta una donna che viveva sola, in quanto vedova, ogni notte il mazapégul la disturbava nei soliti modi e, di giorno, le combinava ogni sorta di piccoli dispetti. Un giorno, presa dalla disperazione, la donna decise di cambiare casa (non che prima non le avesse provate tutte per liberarsi dello sgradito ospite), mentre s'incamminava con un carretto carico di tutte le sue cose, lungo la strada incontrò una sua amica che le chiese dove stesse andando, prima ancora che potesse aprir bocca per rispondere, dal bel messo delle masserizie, uscì una vocina stridula che rispose per lei: "A cambiêm casìna" (cambiamo casina). Visto che non poteva liberarsene, la donna si rassegnò, girò il carretto e tornò sui suoi passi.
Oggetto della passione amorosa del mazapégul, pare siano soprattutto gli occhi (sulla cui bellezza passa intere serate a sospirare languidamente) ed i capelli (che ama acconciare in finissime ed inestricabili treccioline). Pare però che, nella sua ossessione amorosa, non sia in grado di distinguere occhi e capelli di donne, da quelli di uomini, o da crini di cavalli e perfino, anche se più raramente, lo si può vedere attratto da mucche, asini ed altri animali domestici (verso i quali, però, ha manifestazioni più bizzarre e selvagge). In questi ultimi casi, è probabile che si possa anche trattare di un'altra specie di folletto, confuso col nostro, dalla tradizione popolare. Queste ultime segnalazioni parlano, infatti, di uno spiritello che rassetta lo strame di notte e ripulisce la stalla dell'amata, monta in groppa alla bestia e le stringe il ventre, la bestia ansima, scalpita invano ed emette versi orribili. Al mattino seguente, si ritroverà l'animale, inquieto, sudato e col respiro convulso; molto spesso, le si ritroveranno i crini intrecciati tanto inestricabilmente, da non poter essere sciolti da mano d'uomo. Pare anche che, lo spiritello, ami molto pulire i finimenti fino a farli luccicare e, dopo avere così agghindato l'amata giumenta, si abbandoni alla rituale, selvaggia galoppata notturna, che ha termine poco prima dell'alba e lascia, l'animale, spossato, ansimante e grondante sudore. Ai piccoli delle scrofe, gioca il brutto tiro di legarne assieme le codine, provocando un indescrivibile panico nel porcile. Alle pecore, invece, ama pettinare accuratamente e ripulire il pelo, fino a renderlo lucido.
Liberare gli animali "posseduti" dallo spiritello, era impresa assai ardua; pare giovasse allo scopo, porre, in tempo utile, un cartoccio di semi di panìco, sulla groppa dell'animale, il quale, perdendolo durante la cavalcata, avrebbe costretto l'esserino, al rituale scrupoloso riordino. Se poi il cartoccio avesse contenuto più tipi di semi diversi (lino, erba medica, trifoglio, ginestrino), il metodo sarebbe risultato ancora più efficace. Pare sia stato sperimentato, con successo, anche il sistema aulico di cingere la testa dell'animale preso di mira, con una corona di spensurghen (spino sorcino).
Tali connivenze col mondo animale, sono soprattutto ascritte al folletto della montagna, ove è chiamato cheicabligul, che, in effetti potrebbe, come detto, essere una specie autonoma, anche se strettamente imparentata al mazapègul stesso. Con quest'ultimo, infatti, come visto condivide, sia il tipo manifestazioni esclusivamente di carattere "amatorio" (anche se rivolte a soggetti di specie diversa), che le dimensioni e l'aspetto (per quel che se ne sa e fino a prova contraria), nonché il berrettino rosso ed altre peculiarità secondarie; d'altronde, anche il mazapègul (così chiamato, soprattutto nel forlivese ed in parte del ravennate), viene segnalato anche nelle zone di montagna, proprie del cheicabligul. Qui e altrove, è inoltre chiamato con nomi, ancora una volta diversificati, dai vari dialetti: mazapèdar (in alcune zone del ravennate ed a Castelbolognese), mazapëder, mazapëd e mazapìgur (nell'imolese), mazapèvar e mazapòis (a Savignano), mazapès (nella valle del Savio), mazapègual, mazapègval, mazapìgul e mazapèider (in altre zone), ma ho anche trovato spervèng-l, nonché skàrabùzan (nel territorio di Comacchio). Le stesse deformazioni linguistiche, colpiscono anche il cheicabligul, altrimenti detto: calcarèl o cheicatrèp. A tale confusione è da aggiungere, oltretutto, che non sarebbe nemmeno corretto definirlo folletto, categoria delle quale tratterò più diffusamente in un successivo capitolo; personalmente, comunque, sono dell'opinione che, in entrambi i casi, si tratti dello stesso spiritello, il quale, nelle zone montane ha manifestazioni più selvagge, forse condizionato anche dall'ambiente stesso, più impervio ed isolato.
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