Gli studi demologici sono, tutto sommato, una scoperta letteraria recente e la nostra regione, può vantare un primato in questo genere di pubblicazioni.
"Usi e pregiudizj de'contadini della Romagna. Operetta serio-faceta", di Michele Placucci, pubblicato a Forlì nel 1818, può essere considerato il primo saggio di una raccolta organica di usi e costumi, edito in Italia. Esso è frutto di una ricerca svolta dall'autore (in qualità di "Aggiunto al Segretario e Capo Speditore presso la Comune di Forlì"), svolta in ottemperanza ad un incarico datogli in occasione dell'inchiesta, indetta nel Dipartimento del Rubicone, durante il primo regno napoleonico d'Italia, fra il 1809 ed il 1811 (dallo stesso scrupolosamente condotta, limitatamente al territorio di Forlì).
Tale genere letterario, trovò poi nuovo impulso, agli inizi del novecento, soprattutto sulle pagine della rivista "Il Plaustro" (fondata da Aldo Spallicci, nel 1911, poi divenuta "La Piê", nel 1920), grazie ad articoli e brevi saggi di vari autori, quali: Nino Massaroli, Livio Carloni (alias Luciano De Nardis), Giovanni Bagnaresi (Bacocco), Francesco Balilla Pratella ed altri.
Agli inizi degli anni sessanta, si assiste al pregevole tentativo di raccolta organica di tale tipo di materiale, a cura di Paolo Toschi ed Angelo Fabi, con l'opera in tre volumi, dal titolo globale: "Corpus delle tradizioni popolari romagnole".
In seguito, autori quali: Anselmo Calvetti, Eraldo Baldini, Giuseppe Bellosi, Libero Ercolani, Vittorio Tonelli ed altri, si sono occupati, in maniera costante dell'argomento, dando alle stampe opere estremamente interessanti.
Dagli esordi ai nostri giorni, è un continuo proliferare di pubblicazioni occasionali e di respiro locale, anche pregevoli, ma spesso inorganiche e di non facile reperibilità, condite da segnalazioni sporadiche apparse su vari quotidiani e riviste, anch'essi a carattere locale.
Queste ed altre, come testimonia la bibliografia (riassuntiva e forzatamente mancante di quelli che potevano essere i riferimenti e ricordi dell'autore, raccolti da testimonianze orali, o vecchie letture fugaci, non mandate a memoria), sono state le fonti di questa opera che vorrei definire, come fece Placucci: serio-faceta. Non sempre, però, mi è stato possibile risalire alle fonti delle informazioni riportate, talvolta costituite da opere introvabili, altre volte mal citate nelle varie bibliografie. Per questo, mi sono dovuto spesso accontentare di descrizioni fugaci e frammentarie, poche righe che ho riportato forzandomi di non integrarle maldestramente con invenzioni inopportune, trattandosi, appunto, di un tentativo di censimento serio, pur nella sua facezia.
Per quanto riguarda l'iconografia, non ho trovato, a livello locale, fonti soddisfacenti alle quali fare riferimento: quelle più vecchie, contengono raffigurazioni spesso generiche, prive di riferimenti circostanziali; mentre, quelle più recenti, nella maggior parte dei casi, propongono interpretazioni fantasiose, spesso anche di pessima fattura, che tengono in poco conto le descrizioni canoniche dei personaggi raffigurati, e vogliono essere solo dimostrazioni di presunta perizia grafica, da parte degli autori. Per questo ho deciso di metterci del mio e nell'eseguire i ritratti che accompagnano quest'opera, mi sono imposto di rimanere, il più possibile, fedele alle descrizioni rintracciate, integrandole ove non sufficienti, con qualche interpretazione personale, forzata dalla volontà documentativa. Non dovrà, quindi stupire che, con tali presupposti ed esigenze, la mia fonte di ispirazione privilegiata, sia stata, piuttosto, quella tradizionale anglosassone, o quella francese, che hanno più dimestichezza con questo genere di rappresentazioni grafiche. Non indispettisca più di tanto questa mia predilezione, del resto, sono evidenti le assonanze di non poche figure che appaiono in questo censimento, con quelle proprie della tradizione folkloristica di questi paesi, che attingono più o meno direttamente, al loro substrato celtico (senza dimenticare, per noi, quello etrusco). Evidentemente, nonostante gli sforzi tesi, prima alla romanizzazione, poi alla cristianizzazione, forzate dal potere politico, la tradizione popolare, ha mantenuto vivi, trasfigurandoli, non pochi di quei caratteri propri delle culture che hanno attraversato il nostro territorio, lasciando segni più evidenti di quelli che, la storia ufficiale, vorrebbe riconoscere loro.
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